Vittime e giustizia

Una Costituzione garantista può menzionare tra le sue pagine solo i diritti degli imputati? Le Vittime hanno il diritto di entrare a pieno titolo in una Carta che viene ritenuta tra le più belle del mondo? Hanno il diritto di avere garanzie di protezione, di solidarietà economica e sociale, di restituzione, in qualche forma condivisa, del gravissimo torto subito?  

La giustizia capace di abbracciare la complessità del mondo è quella che afferma un concetto semplice: lo Stato e i singoli cittadini hanno il diritto-dovere di tenere alto il valore della vita umana. Sempre. Anche quando è stata soppressa. Le Vittima prima di essere un cadavere era una persona, merita rispetto anche nella morte, e in quell’aula di tribunale in cui, oggi, non è che sfondo.(…)

La morte di un familiare che avviene attraverso la violenza, è come l’anticipo della propria fine. È la propria carne che viene maciullata, è il proprio sangue che scorre via, che si perde, che si scurisce e diventa solido come cera colata. Le grida disperate di chi muore ammazzato sono come echi perenni nella mente di chi resta. Gli occhi sgranati della Vittima di fronte alla furia inarrestabile dell’assassino, sono un pezzo di ghiaccio che si conficca nel cuore e che alimenta l’immagine di un cadavere gelido, bianco come la neve. La vita di chi rimane non è più viva, è una morte che respira. Si esiste per inerzia, perché adesso è un dovere soprattutto verso chi non c’è più. E verso chi rimane. Ma nel profondo del cuore, nell’abisso dei mille perché, delle ansie perenni, non c’è più niente che possa scaldare il cammino su un terreno d’argilla. (…) 

Si parla tanto, soprattutto nella battaglia politica, dell’incostituzionalità di quello o di quell’altro provvedimento legislativo. Che cosa c’è di costituzionale in un uomo libero di continuare a fare del male ai suoi simili mentre attende un giudizio che arriverà dopo anni?(…) perché la libertà del colpevole viene sempre prima della libertà dell’innocente di non diventare Vittima? (…) Non può esserci sempre una scappatoia in grado di mettere la responsabilità personale al secondo, al terzo, all’ultimo posto. Non può farlo nessuno, né il criminale, né la legge, né il magistrato che di quella legge dà un’interpretazione che si riflette spesso in una mezza assoluzione. 

L’ordinamento penitenziario è premiale e il premio avrebbe lo scopo che ha la carota per il cavallo. Ma gli uomini non sono cavalli. E non hanno bisogno né di bastone né di carote, ma di regole severe e certe. Non si chiede la tortura, si chiedono pene adeguate al reato e al valore del bene leso o distrutto, e così umane, pur nella severità, da essere in grado di trasformare l’a-morale in morale, l’a-sociale in sociale. (…) Certe persone mettono sul piatto della bilancia i diritti civili dei carcerati senza rapportarli mai con quelli delle Vittime o dei liberi cittadini, ma soprattutto li mutano in qualcosa che di democratico non ha nulla. 

Un diritto che non prevede la responsabilità verso i diritti degli altri è un abuso. (…) Una Costituzione ideale deve mettere al centro non solo la libertà, ma anche la sua connessione imprescindibile con le responsabilità, e la frase di Vittorio Foa citata all’inizio di questo libro è determinante in questo senso: «Ogni vera libertà non può esprimersi altrimenti che nel poter scegliere come rinunciarvi». 

Il prezzo di una vita negata è una libertà trattenuta da parte di uno Stato che “stando sopra le parti” vigila e protegge con altrettanta responsabilità; che si assume gli oneri delle proprie scelte, mettendo al primo posto quei valori che tutelano la vita umana e l’integrità fisica e morale dei cittadini. Ma gli uomini di governo non sono mai riusciti a essere essi stessi sopra le parti, ad agire attraverso scelte che esulano dalla continua ricerca del consenso e che invece, di fatto, vanno troppo spesso dalla parte del giustificazionismo, del “volemose bene” di facciata che fa tanto male a giustizia e legalità. 

Perché una legge si trasformi in divieto morale deve essere rispettata da tutti. A essa deve corrispondere un deterrente in grado di porre un divieto interiore che fa appello all’istinto di sopravvivenza, che si porta dietro inevitabilmente un bisogno di libertà. (…)

Il principio cardine della nostra legge penale si basa sul fatto che è meglio ci siano cento colpevoli fuori che un innocente in carcere. Sacrosanto. Ma quando in carcere c’è un colpevole, quell’uomo deve pagare un prezzo fisso alla vita, soprattutto se ha commesso un delitto contro, la vita. (…)Perché a questi uomini viene negata la possibilità di scendere nel pozzo buio dell’anima per conoscere fino in fondo se stessi, le loro colpe gravide, le loro responsabilità letali, le loro meschinerie? Che cosa può fare l’educatore se non può agire sull’essenza, se educa una maschera, un volto di convenienza che si fa bello per poter ottenere un beneficio in termini di libertà?

Nessun uomo è innocente!», è vero. Nessuno è libero dal male. Ma è libero di non realizzarlo nel mondo. Gli assassini, gli stupratori, i pedofili, i rapitori, i sadici, gli spacciatori di droghe, non sono innocenti dinnanzi alle loro Vittime. Non lo sono rispetto al loro delitto. A chi giova, una volta scoperti, lasciarli prematuramente liberi di rubare le vite degli altri?(…) se il principio della nostra legge penale è: meglio cento criminali fuori che un innocente dentro, allora il futuro ci darà ancora Vittime.

L’innocente che si trova in prigione ingiustamente accusato, con una legge che ne tutela per davvero gli interessi – e lo libera subito, senza lungaggini burocratiche, quando c’è la prova della sua estraneità ai fatti – ha comunque la possibilità, avendo salda la vita, di dimostrare la sua innocenza. Ma l’altro innocente, quello che sta fuori e che viene ucciso nella sua vita tranquilla, che possibilità ha? (…) Non è vero che, come diceva il filosofo tedesco Treitschke, «la forza è il principio dello Stato, come la fede è il principio della Chiesa, come l’amore è il principio della famiglia»

Dov’è la forza di uno Stato che non sa trattenere i suoi criminali, educarli per davvero e restituirli alla società senza mettere in pericolo la vita di nessuno? 

Quando non è l’indulto è la prescrizione. Quando non è la prescrizione è il premio, o lo sconto automatico. La severità è solo un ricordo e l’autorità un’opinione, discutibile, modellabile. Quella strada che permette di trovare peso ed equilibrio tra le cose e nelle cose, ancora non c’è. Né dietro le sbarre, né fuori. È aspirazione. (…) 

Perdere una persona cara per omicidio provoca un dolore più grande di quello di un assassino recluso. C’è una libertà negata più importante di quella negata a un colpevole di omicidio: è quella del cadavere che si trova in una bara. È da questi due punti che dobbiamo ripartire per non aggiungere ingiustizia all’ingiustizia. Per stabilire un primato necessario alla nostra stessa conservazione. Non il primato della politica, della giustizia, della morale. Il primato della vita. Così scontato, così banale, che nessuno ormai lo tiene più in considerazione. (…) 

Nel tempo, più persone mi hanno detto che sono troppo romantica, troppo idealista, addirittura un’integralista del romanticismo. È vero. E il troppo non è mai la via giusta. Ma nonostante lo sforzo che metto nella necessità di essere meno estremista, non posso non considerare la realtà dei fatti: il più forte vince. E fino a ora le Vittime sono state, nell’apparato che dovrebbe dare loro giustizia, deboli. “Troppo” deboli.

La storia insegna però che ci sono momenti in cui gli ideali, prima definiti utopie, possono trovare quella spinta necessaria per diventare realtà. Allora non posso smettere di sognare un mondo dove la gente non abbia più paura di altra gente; dove le persone possano dare il 100 per cento di loro stesse senza la paura che chi non ci riesce le ammazzi professionalmente, civilmente, o materialmente; dove chi soffre a causa di chi usa la propria libertà per ferire, paghi in silenzio il prezzo di quella sua sfrontata, violenta, inaccettabile libertà; e dove le Vittime del male umano possano andare per la strada a testa alta, sicure di avere al loro fianco la società intera e lo Stato.


Luigi Sturzo scriveva: “Visionari e sognatori, inascoltate Cassandre e martiri di idee e di fedi, giocano sempre un utile ruolo, poiché ciò che essi dicono e soffrono aiuta a creare un pathos, un atteggiamento reccettivo della coscienza collettiva, che tende a innalzarla al di sopra del fango della compiacenza e dell’accidia, a trasferirla dalla “lettera” che uccide allo “spirito” che vivifica.


Alle Vittime non posso che dire: andate avanti, sostenete i vostri diritti umani inalienabili. Portate con dignità sul petto il nome e l’immagine del vostro caro perduto, perché la sua memoria continui ad agire nel mondo. A voi è toccato il ruolo di testimoni della realtà del male, continuate a mostrarlo. Solo così lo possiamo fermare: rendendolo nudo.


Ho chiesto la prefazione di questo libro a Rita dalla Chiesa perché in suo padre c’è l’uomo di legge e insieme uno Stato ideale che si materializza nelle azioni di un uomo per la tutela dei cittadini. 
Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa si nutriva di un elevato senso della giustizia e della morale. Diceva con le parole e con i fatti: «Lo Stato è qui, non abbiate paura».


Quella frase oggi ha ancora valore, perché tutte le Vittime del crimine, sia esso comune o organizzato, vogliono sentirsi dire ancora una volta con le parole e con i fatti: «Lo Stato è qui, non abbiate paura».

Il generale dalla Chiesa voleva un futuro libero dalle minacce, uno Stato forte, che non significava fascista o comunista, significava capace di rendere liberi gli uomini di poter esprimere le proprie idee senza per questo essere uccisi. Capace di trovare il modo di difendere gli innocenti stabilendo con precisione la differenza tra loro e i colpevoli. Significava, e significa, volere uno Stato in grado di impedire che gli uomini possano essere ammazzati per ragioni economiche, professionali, per mere logiche criminali o per futili motivi.”  

Tratto da 
Vittime per Sempre (Aliberti) di Barbara Benedettelli
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Le Vittime hanno il diritto di entrare a pieno titolo in una Carta che viene ritenuta tra le più belle del mondo? Hanno il diritto di avere garanzie di protezione, di solidarietà economica e sociale, di restituzione, in qualche forma condivisa, del gravissimo torto subito?  
La scelta è tua

Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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