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Stupro a Rimini: “As queer as a clockwork orange”. Una frase dialettale inglese che indica qualcosa di strano internamente, ma che appare normale e naturale in superficie. Ma è anche una suggestione che ha ispirato il titolo di un romanzo di Anthony Burgess: Arancia Meccanica, che nel 1971 è diventato un film cult con la regia di Stanley Kubrick.
Da allora Arancia Meccanica è sinonimo universale di ultra-violenza, di malvagità che esplode all’improvviso, dove il movente è un mostruoso male per il male. Ma la mostruosità, come affermava la filosofa Hannah Arendt, non ha bisogno di mostri. Ecco che tre minorenni e un ventenne diventano feroci stupratori. Ecco che le vite degli altri si possono straziare, calpestare, violare. Botte, calci, bottigliate e poi la peggiore violenza sessuale ripetuta su una giovane che da quel momento sarà segnata per sempre. E su una transessuale, che mentre veniva violentemente abusata, registrava mentalmente ogni dettaglio che potesse aiutarla a risalire ai colpevoli.
Rimini, la riviera del divertimento e della gioia diventa il luogo dell’orrore. Arancia Meccanica è considerato un film distopico, ovvero che rappresenta una realtà futura dove tutto è nero. Dove, come in questo caso, a vincere è l’ultra-violenza. Una realtà che nel film appare fittizia e che invece, sempre di più, irrompe nella realtà odierna. Vogliamo chiederci seriamente perché?
Da una parte c’è un concreto pericolo immigrazione, dove culture diverse si mescolano alla nostra senza integrarsi agendo valori e costumi lontani dai nostri. Dove anche i nativi italiani figli di genitori extracomunitari, grazie alla socializzazione primaria che avviene in famiglia restano attaccati alle loro origini e alla visione del mondo che ne deriva.
Dall’altra parte, questa iper-violenza non esclude noi italiani, come dimostrano i quotidiani casi di cronaca nera dove la ferocia supera sempre se stessa. Barbarie, terrore. Tramonto di qualsiasi solidarietà tra esseri umani. “Vicoli” ciechi della contemporaneità, dove non basta più ferire, uccidere, bisogna squartare, sezionare, torturare.
E’ fondamentale allora interrogarsi sulla recrudescenza del male, sempre più feroce, sempre meno banale, invece di dividersi e polemizzare su chi è razzista e chi buonista.
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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