Cosa accade quando la ferocia ha il volto di un minore? In questo articolo affronto il tema delle baby gang, tra branchi violenti e giustizia minorile troppo indulgente. Perché anche i più giovani devono comprendere il valore della vita e della responsabilità.
Ferocia minorile: branchi senza controllo
Negli ultimi mesi, le cronache italiane sono state scosse da episodi di inaudita violenza perpetrata da minori. Ragazzi tra i 12 e i 17 anni, a volte anche più piccoli, si sono resi protagonisti di aggressioni gratuite, feroci, condivise con orgoglio sui social. Per alcuni, si tratta di un’iniziazione al crimine; per altri, una forma di divertimento. Ma in tutti i casi emerge una brutalità disumana.
L’errore della giustizia minorile: il confine tra età e responsabilità
Secondo la legge italiana, sotto i 14 anni non esiste la capacità di intendere e di volere. Ma è davvero così? In gruppo, il branco diventa un gigante che schiaccia. E se il reato è commesso insieme, anche la responsabilità si moltiplica. Le vittime, spesso coetanei o persone fragili, restano segnate per sempre, mentre gli autori vengono “recuperati” senza pagare davvero. Il movente è il male per il male. Una mostruosità che, per dirla con Hannah Arendt, non ha bisogno di mostri. Né di adulti.
Davvero pensiamo di salvarli senza intervenire con sanzioni che li portino a non replicare? Senza intervenire con programmi educativi speciali che li portino a entrare nell’immensità del male che hanno fatto?
Il valore della vita: un principio da difendere, anche con la pena
L’uccisione di un anziano spinto da uno scoglio per “gioco” è l’esempio più estremo. Il colpevole? Un diciassettenne che non sconterà nemmeno un giorno. A 17 anni si conoscono le conseguenze di un gesto così estremo. E se è vero che la finalità della pena minorile è educativa, è anche vero che la giustizia deve affermare il valore della vita con la forza della responsabilità.
Quanti dei ragazzi che hanno agito a Napoli (ma anche a Milano, Torino, Roma, Bologna, Genova ecc.), per esempio, erano già conosciuti alle forze dell’ordine? Quanti avevano già avuto provvedimenti «minimi»? Quanti avevano alzato il tiro delle violenze deridendo le Forze dell’Ordine nella certezza di non poter essere puniti in quanto minori?
Rieducazione sì, ma dopo il riconoscimento della colpa
Non può esserci educazione senza consapevolezza. Chi commette un reato grave deve rispondere con una sanzione proporzionata (commisurata all’eta, certo), che serva da monito a sé e agli altri. L’impunità non educa, deresponsabilizza. E cancella la sofferenza delle vittime.
Oggi si riconosce a una dodicenne la capacità di diventare madre, ma non quella di rispondere per le sue azioni violente. Perché questa incoerenza? Serve una riforma profonda della giustizia minorile: che non neghi l’educazione, ma passi prima dal riconoscimento del male e dal dovere della riparazione. Insieme a un certo grado di autonomia, dobbiamo riconoscere loro anche il grado di responsabilità che dall’autonomia deriva.
I DATI
Le Baby gang sono vere organizzazioni criminali con un leader, ruoli, riti d’ingresso, strategie e simboli. Sono composte per lo più da latinos o da italiani che provengono dalla criminalità organizzata. Non sempre i “branchi” di minori violenti sono tecnicamente Baby gang. Alcuni di questi gruppi non sono organizzati, i minori che ne fanno parte hanno in comune un disagio e possono provenire da famiglie disastrate o, al contrario, benestanti e senza particolari problemi.
Secondo l’Osservatorio Nazionale Adolescenza, che ha condotto una ricerca su 8000 ragazzi, tra il 2016 e il 2017 il 24% di quelli tra i 14 e i 19 anni ha partecipato a risse; il 6% ha fatto knockout (pugni agli sconosciuti di passaggio); il 35% ha picchiato qualcuno; l’8% ha usato coltellino, tirapugni o manganello; il 5% ha distrutto vetrine, cassonetti, o lanciato oggetti durante una manifestazione. Gli atti vandalici hanno subito un’impennata dal 16% al 22%. Sono in aumento i minori tra gli 11 e i 13 anni: il 13% ha compiuto un atto vandalico; il 35% ha picchiato qualcuno; il 6,5% fa parte di una gang.
Si sentono protetti in quanto non imputabili fino al compimento del 14esimo anno; solo se si rileva una pericolosità sociale marcata li aspetta la comunità di recupero. Tra i 14 e i 18 anni sono invece imputabili, ma solo se viene accertata la capacità di intendere e volere (accertamento obbligatorio). Tuttavia in pochissimi casi il condannato va nel carcere minorile; si tende al recupero attraverso le misure alternative.


