Femminicidio: senza verità sui numeri, la prevenzione diventa impossibile.
Femminicidio, i dati distorti da una narrazione ideologica della realtà non servono a prevenire. Cominciamo con il dire che cosa non è femminicidio, perché negli ultimi tempi gli argini del significato (mai adattato alla realtà italiana) sono stati allargati a dismisura senza un criterio di logicità. Questa dilatazione ha creato un disorientamento collettivo e un sentimento d’ingiustizia verso altre categorie di vittime.
Cosa non è femminicidio: i casi spesso confusi
Nel discorso pubblico e politico le uccisioni di donne da parte dei loro figli, delle figlie, dei vicini di casa o della criminalità comune vengono spesso inserite nella categoria femminicidio. Un errore che a volte nasce da ignoranza o superficialità, altre da un uso distorto dei dati per creare allarme sociale e urgenza politica.
Non sono femicidi, ad esempio, i casi del 2016 che hanno visto la morte di Maria Rita Tomasoni, uccisa dal fratello; Kamaljit Kaur, uccisa da un vicino di casa; Nelly Pagnussat, ammazzata da un vicino con problemi psichici; o Maria Melziade, vittima di una rapina. Così come non lo sono i casi di Natalina Carnelli, avvelenata dalla figlia; Danielle Claudine Chatelain, uccisa dalla fidanzata della figlia; o Marianna Luberto, neonata uccisa dalla madre.
La conta disordinata: numeri divergenti e fonti discordanti
Nei media, nei blog, nei rapporti associativi e talvolta negli stessi atti parlamentari, questi casi finiscono nei conteggi generali del femminicidio. Così i numeri salgono: “Violenza sulle donne: la strage continua. Nel 2016 ne sono state uccise 120”; “Femminicidi, 116 donne uccise ogni anno in Italia”.
Secondo ANSA, che cita le Forze dell’ordine, nel 2016 le donne uccise in ambito familiare sarebbero 108, principalmente per tensioni familiari, separazioni o affidamenti. Almeno qui si parla di “ambito familiare” e non genericamente di femminicidio.
Se accettiamo di includere ogni donna uccisa, indipendentemente dal fondamentale rapporto vittima/carnefice, allora dovremmo considerare ancora più allarmante l’uccisione degli uomini: nel 2015 furono uccisi 328 uomini contro 141 donne secondo il Ministero dell’Interno (fonte).
Non esiste una fonte unica e certa: Emanuela Valente, per l’osservatorio “In Quanto Donna”, conta 72 femicidi nel 2016; il blog del Corriere “La 27esima ora” ne conta 92, includendo anche donne uccise da figli e parenti; la “Casa delle Donne per non subire violenza” arriva a 117 includendo anche prostitute uccise.
Quando il rigore diventa necessario per proteggere tutti
Anche quando l’assassino è il partner, le motivazioni non sempre riconducono alla misoginia, al sessismo, alla cultura patriarcale. Spesso entrano in gioco malattie psichiatriche, questioni economiche, abusi di alcol e droghe. I dati della Direzione centrale della Polizia criminale indicano che nel 2015 su 469 omicidi totali, 160 sono avvenuti in ambito familiare o affettivo: 109 vittime donne, 59 uomini (fonte ISTAT). Ma non tutte le 109 donne sono state uccise dai partner, e non sempre per motivi legati al genere.
Verso una definizione più chiara e condivisa
Se, come insegna Durkheim, la società è un insieme di idee che devono essere condivise per costruire la società civile, è essenziale che termini come femminicidio corrispondano con precisione ai fatti che vogliono descrivere. Altrimenti, il termine perde di efficacia e crea ingiustizia.
Dobbiamo osservare i fenomeni al di sopra delle ideologie, tenendo conto dei mutamenti culturali e sociali. Se un tempo la violenza sulle donne era tollerata, oggi esiste una forte condanna morale e giuridica. Eppure le donne continuano a morire in contesti affettivi. Dobbiamo periodicamente rivedere i paradigmi, affinché la prevenzione sia efficace e basata su dati reali.
Come ho spiegato nel mio libro “50 sfumature di violenza, femminicidio e maschicidio in Italia” (Cairo Libri), il femminicidio non è un fenomeno isolato, ma un ramo — seppure grande — dell’albero della violenza domestica.
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