La certezza della pena serve a tutti. Anche a chi ha sbagliato

Persone di spalle partecipano a una veglia silenziosa davanti a decine di candele accese, in memoria delle vittime

Certezza della pena non vuol dire vendetta, ma senso di responsabilità. Racconto e riflessione su un caso che forse si poteva evitare. Perché la pena, se certa, può salvare vite.

Se avesse scontato la sua pena fino in fondo, ora sarebbe vivo?

Questa domanda mi accompagna da sempre. È una domanda che nasce non dalla voglia di punire, ma da quella – più difficile e più onesta – di comprendere. Non solo per Claudia Muro, 16 anni appena, travolta e uccisa da un ragazzo già noto alla giustizia. Ma anche per lui. Per quel giovane uomo che guidava ubriaco, nonostante tre ritiri di patente alle spalle. Per quel ragazzo che, dopo un mese in carcere e un periodo ai domiciliari, si è tolto la vita consumato dal senso di colpa.

E se il carcere, come dovrebbe, fosse stato un luogo di cura, consapevolezza, rieducazione vera? Se la pena fosse stata certa, seria, senza scorciatoie, forse oggi Claudia sarebbe viva. E forse anche lui.

La pena, se certa, può essere anche salvifica

La nostra Costituzione afferma che la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Ma come può farlo se non è applicata, o lo è solo in parte? Se la pena viene interrotta, ridotta, resa incerta e instabile, perde la sua funzione educativa. E diventa solo un passaggio opaco, inefficace, ingiusto. Per chi ha commesso il reato e per chi l’ha subito.

La certezza della pena non è una bandiera ideologica. È un fondamento etico, civile, culturale. È ciò che rende giustizia alla vittima. Ma anche ciò che consente al colpevole – se vuole – di riconoscere il danno, attraversare il dolore, assumersene la responsabilità. Solo così è possibile davvero “ri-abilitare”. Non si riabilita chi non ha nemmeno affrontato il peso del proprio atto.

Cosa insegniamo, se la pena è un’illusione?

Una pena che non arriva fino in fondo non insegna nulla. Né al condannato, né alla società. Insegna piuttosto che uccidere, stuprare, torturare, può avere conseguenze labili. Che il rispetto della vita altrui è negoziabile. Che chi distrugge una vita può cavarsela con poco. E intanto, chi sopravvive – o resta – vive in una prigione interiore da cui non potrà mai uscire.

I parenti delle vittime lo sanno. Lo sa chi ha perso un figlio. Lo sa chi non dorme più la notte, mentre l’assassino esce al mattino per andare a lavorare e torna alla sera in carcere, come se fosse un albergo.

Il rischio dell’alibi psichiatrico

Non possiamo continuare ad assolvere l’indicibile col pretesto dell’infermità mentale. Chi infierisce con inaudita violenza, chi colpisce, colpisce, colpisce senza ascoltare il grido di chi sta uccidendo, è malato, sì. Ma è anche pericoloso. E lo sarà finché quella malattia non sarà affrontata con serietà. Non negata. Non coperta.

Una società che normalizza la follia criminale perché ha chiuso i manicomi senza aprire nulla in cambio è una società che si condanna. Le malattie psichiche esistono, ma vanno curate, diagnosticate, trattate. Non ignorate. Non travestite da “momento di rabbia”.

Serve giustizia vera. Anche per chi ha commesso il reato.

Quando parlo di certezza della pena, non parlo di vendetta. Parlo di giustizia. Parlo di educazione, di responsabilità, di rispetto per la vita. E anche di salvezza. Perché chi ha sbagliato può cambiare solo se attraversa fino in fondo la verità del proprio atto. Senza sconti, senza scorciatoie, senza alibi.

E allora sì, forse non avremmo perso Claudia. E forse anche lui avrebbe potuto salvarsi.

di Barbara Benedettelli — Sociologa, saggista, giornalista e Vicepresidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime. Autrice di numerosi libri e studi su crimine, giustizia, AI e relazioni umane.

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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è sociologa, saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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Chi è Barbara Benedettelli
Sociologa, giornalista e saggista. Autrice di inchieste su giustizia, vittime, violenza relazionale e intelligenza artificiale. Editorialista per Il Giornale e autrice di saggi come Dialogo con l’Umanità, Connessioni Pericolose e 50 Sfumature di Violenza.

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