Le vittime dei reati violenti sono spesso dimenticate quando la luce si spegne su di loro e si accende sul reo, sulla pena da scontare, sulla sua possibilità di ricominciare. Ma una Costituzione non può pensare solo a chi ha commesso il reato, può e deve pensare anche a chi lo ha subito.
Quando la giustizia dimentica le vittime, l’equilibrio dei diritti si spezza.
Una Costituzione garantista può davvero menzionare soltanto i diritti degli imputati? Le vittime hanno il diritto di entrare a pieno titolo in quella Carta che viene spesso definita tra le più belle al mondo. Hanno diritto a protezione, a solidarietà economica e sociale, a una restituzione – in qualsiasi forma condivisa – del torto gravissimo subito.
La sofferenza profonda di chi resta dopo un omicidio
La morte violenta di un familiare è un’anticipazione della propria fine. È la carne che si dissolve, il sangue che si perde, il dolore che diventa presenza costante. Gli occhi delle vittime, sgranati di fronte alla furia omicida, restano impressi nella mente di chi sopravvive come un chiodo conficcato nel cuore. La vita, per chi resta, diventa un’esistenza sospesa: si vive per inerzia, per dovere verso chi non c’è più. Una morte che respira.
Il bilanciamento tra i diritti dell’imputato e quelli delle vittime
Si parla spesso di incostituzionalità di questo o quel provvedimento. Ma cosa c’è di costituzionale in un colpevole libero di nuocere mentre attende un processo che arriverà dopo anni? Perché la libertà dell’imputato prevale sempre sulla libertà dell’innocente di non diventare vittima? Non esiste responsabilità senza doveri verso i diritti altrui: un diritto che prescinde da questa responsabilità diventa abuso.
Severità e responsabilità: fondamenti di una giustizia autentica
L’ordinamento penitenziario premia il reo, ma gli uomini non sono cavalli da addestrare con bastone e carota. Non si chiede tortura, ma pene proporzionate al reato e al bene violato: pene severe ma umane, capaci di trasformare l’a-sociale in sociale, l’a-morale in morale. Troppo spesso i diritti civili dei colpevoli vengono branditi senza bilanciarli con quelli delle vittime, svuotando di significato la stessa idea di democrazia.
La forza dello Stato e la protezione dei cittadini
Uno Stato che non sa trattenere i suoi criminali, educarli realmente e restituirli alla società senza rischi, è uno Stato debole. Quando non è l’indulto è la prescrizione, quando non è la prescrizione è lo sconto automatico. La severità diventa ricordo, l’autorità una semplice opinione. Ma la giustizia autentica non si costruisce sull’indulgenza, bensì su un deterrente che richiami il senso della responsabilità e della sopravvivenza.
Restituire dignità alle vittime: lo Stato che vogliamo
«Meglio cento colpevoli fuori che un innocente in carcere»: principio sacrosanto. Ma chi difende l’innocente che viene ucciso? L’innocente che giace in una bara non ha più diritti da rivendicare. La libertà negata più grave non è quella sottratta al colpevole, ma quella tolta per sempre alla vittima.
Ogni uomo può scegliere di non realizzare il male nel mondo. Chi ha scelto di compierlo deve affrontare pienamente le proprie responsabilità. La società deve saper dire alle vittime: «Lo Stato è qui, non abbiate paura». Uno Stato forte non significa autoritario, significa capace di difendere i suoi cittadini e distinguere con precisione tra innocenti e colpevoli.
Come scriveva Luigi Sturzo: «Visionari e sognatori aiutano a innalzare la coscienza collettiva al di sopra del fango della compiacenza». Le vittime devono continuare a testimoniare il male che hanno subito, perché solo mostrandolo possiamo fermarlo. Restituire dignità alle vittime significa proteggere la società intera.
I familiari delle vittime: testimoni del male e della dignità
Perdere una persona cara per omicidio provoca un dolore più grande di quello che prova un assassino recluso. Va ristabilito il primato della vita. Così scontato, così banale, che nessuno ormai lo tiene più in considerazione. Nel tempo, più persone mi hanno definita troppo idealista. Un’integralista del romanticismo. È vero. E il troppo non è mai la via giusta. Ma nonostante lo sforzo che metto nella necessità di essere meno estremista, non posso non considerare la realtà dei fatti: il più forte vince. E fino a ora, le vittime sono state, nell’apparato che dovrebbe dare loro giustizia, deboli. “Troppo” deboli.
Ai familiari delle vittime, a loro volta tali, non posso che dire: andate avanti, sostenete i vostri diritti umani inalienabili. Portate con dignità sul petto il nome e l’immagine del vostro caro perduto, perché la sua memoria continui ad agire nel mondo. A voi è toccato il ruolo di testimoni della realtà del male, continuate a mostrarlo. Solo così possiamo fermarlo e restituire dignità alle vittime, proteggendo così l’intera società.
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