Chi difende i morti ammazzati? La voce delle madri, la battaglia di chi resta

Due madri in lacrime si abbracciano stringendo la foto della figlia uccisa, simbolo del dolore dei familiari delle vittime di omicidio

Chi uccide spesso torna libero. Chi resta, è condannato per sempre al dolore. È ora che la giustizia ascolti anche i familiari delle vittime. Le madri hanno cominciato a farsi sentire davanti a San Vittore. Io ero con loro.

Non si può rimanere in silenzio. Non più.

Il 22 ottobre del 2008 mi trovavo davanti al carcere di San Vittore, accanto a due madri che avevano perso le loro figlie. Monica Da Boit e Monica Ravizza: due vite spezzate dalla violenza di un uomo. Due madri – Paola e Maria Teresa – che non chiedevano vendetta, ma giustizia. E io, quel giorno, ho smesso di essere solo una spettatrice. Da allora, non ho mai più lasciato la loro parte.

Familiari di vittime: condannati a vivere senza giustizia

Chi ha perso un figlio, una sorella, un marito per mano di un assassino non può tornare indietro. Non ha possibilità di appello. Nessuna riduzione della pena. Nessun beneficio. La sua condanna è eterna, ed è una condanna all’assenza, al dolore, all’isolamento.

Eppure, nel nostro ordinamento, chi uccide può tornare in società, spesso troppo presto. Magari in semilibertà. Magari dopo un indulto. Magari per effetto di una “riabilitazione” concessa a cuor leggero. Come se chi ha spaccato un cranio con una mazza, o tolto il respiro con una corda, potesse diventare, nel giro di pochi anni, una persona nuova. Peggio ancora, come se questo bastasse a restituire vita a chi non c’è più.

Il tempo non guarisce. Brucia.

Dicono che il tempo lenisca le ferite. Ma quelle dei familiari non si rimarginano. Ogni anniversario, ogni ricorrenza, ogni compleanno mancato è uno squarcio nuovo. Eppure giudici, politici e persino preti sembrano più preoccupati della “seconda possibilità” dell’assassino che della vita negata alla vittima.

Chi ammazza ha diritto alla rieducazione, dicono. Ma noi, quelli che restano, dovremmo svuotarci il cervello di amore, ricordi, speranze? Perché per noi non c’è nessuna legge Gozzini. Nessun indulto. Nessuna grazia. Così dicono i familiari delle persone prematuramente e violentemente uccise.

Siamo gocce, ma possiamo diventare onda

Quel giorno a San Vittore, Paola e Maria Teresa hanno ottenuto un incontro con il Ministro della Giustizia. Era il compleanno di Monica. Una coincidenza che loro hanno vissuto come un segno. Hanno sorriso tra le lacrime, illuminate da qualcosa di più grande. E io ho capito che non si cambia il mondo con l’odio, ma con la verità.

Siamo gocce, sì. Ma insieme possiamo diventare onda. Un’onda che chiede solo una cosa: che la pena sia certa. Che l’ergastolo, se comminato, sia reale. Che l’ergastolo non si riduca a dieci, dodici dodici anni di pena. Che non sia la buona condotta a cancellare il sangue versato.

Serve un cambio di paradigma: dalla centralità del reo a quella della vittima

Viviamo in un Paese dove il carcere preventivo diventa un abuso per chi è innocente, ma l’indulto è concesso con leggerezza a chi ha ucciso. Dove la pena diventa una formalità, e la giustizia un’illusione. L’emergenza non è solo il sovraffollamento carcerario. È l’abbandono delle vittime. È l’assenza di una cultura che dia valore alla vita spezzata. È la mancata consapevolezza che chi ha subito un omicidio non può più perdonare. E che chiedere perdono ai familiari è una violenza in più.

Io continuerò. Con loro. Per loro.

Non ridarò la vita a chi l’ha persa. Ma farò tutto ciò che posso per non lasciar cadere il loro nome, la loro memoria, il loro diritto. Non è vendetta. È giustizia vera.

E se un giorno chi ha ucciso si pentirà davvero, potrà affrontare la sua pena con consapevolezza. Ma fino ad allora, deve scontarla. Fino all’ultimo giorno. Perché la certezza della pena non è una vendetta. È una promessa che lo Stato fa ai suoi cittadini onesti.

di Barbara Benedettelli — Sociologa, saggista, giornalista e Vicepresidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime. Autrice di numerosi libri e studi su crimine, giustizia, AI e relazioni umane.

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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è sociologa, saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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Chi è Barbara Benedettelli
Sociologa, giornalista e saggista. Autrice di inchieste su giustizia, vittime, violenza relazionale e intelligenza artificiale. Editorialista per Il Giornale e autrice di saggi come Dialogo con l’Umanità, Connessioni Pericolose e 50 Sfumature di Violenza.

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