Nel giorno della Passione, perché il rito della lavanda dei piedi non è mai stato compiuto anche per le Vittime? Un gesto simbolico che, se rivolto solo ai carnefici, lascia indietro chi ha subito il male.
Un rito potente, ma incompleto
Il gesto della lavanda dei piedi, che il Papa compie verso i detenuti, conserva una straordinaria potenza simbolica. Ma perché non estenderlo anche alle Vittime dei reati violenti? Perché non fare spazio, in questo rito, anche a chi il male l’ha subito?
Redenzione ed espiazione non possono compiersi davvero se non si contempla anche chi ha portato il peso di quel male. Il perdono che arriva da Dio è potente, certo, ma non può bastare quando il dolore resta impresso nella carne e nell’anima di chi l’ha ricevuto. La giustizia, la spiritualità e la pietà non possono essere cieche al punto da dimenticare la metà più sofferente del dramma: le Vittime.
Vittime e carnefici: un equilibrio spezzato
Non si tratta di criticare il gesto rituale in sé, ma di mettere in luce una profonda asimmetria. Troppo spesso, anche nei contesti religiosi e sociali, l’attenzione è posta sul reo, sul suo pentimento, sulla possibilità di una sua rinascita. Ma chi ha visto morire un figlio, chi è sopravvissuto a una violenza indicibile, chi ha perso tutto per un atto altrui, resta sullo sfondo. Invisibile. Inascoltato.
Originariamente, la lavanda dei piedi era rivolta ai discepoli: un gesto di umiltà, sì, ma anche di fiducia e d’amore. Non di assoluzione. Non di giustificazione. Oggi quel rito, potente e suggestivo, potrebbe assumere un significato ancora più alto se fosse rivolto, almeno una volta, a chi vive la Passione sulla propria pelle, ogni giorno. A chi il male lo ha subito. A chi, come Cristo, si è sentito abbandonato.
Un appello alla Chiesa: rendere visibili le Vittime
Papa Francesco ha detto: «Quando il Signore ci lava i piedi, ci purifica. Ci fa sentire il suo amore». E allora il mio desiderio, la mia richiesta, è che quell’amore possa raggiungere anche chi oggi non ne è più sicuro. A chi, come Gesù nel Getsemani, sente che Dio tace. Che tutti tacciono. Che non resta nessuno.
Le Vittime di reati violenti meritano un rito che le renda visibili. Che testimoni, anche pubblicamente, il loro dolore e la loro dignità. Un rito che non le releghi a semplice “conseguenza collaterale”, ma che riconosca il loro posto centrale nella giustizia, nella memoria, nella compassione. Un rito che possa, forse, aiutare anche il colpevole a pentirsi per davvero.


