Il Tasso di Detenzione italiano è inferiore alla media europea, ma le carceri restano sovraffollate. La ragione? Provvedimenti di clemenza inefficaci, mancanza di strutture e personale, e politiche che ignorano le vittime e la prevenzione. È lo Stato il primo recidivo.
Tasso di detenzione: indicatore di inefficienza
Il Tasso di Detenzione, ovvero il numero di detenuti per ogni 100.000 abitanti, non è solo una cifra statistica: è un indicatore fondamentale della salute e della coerenza del sistema penale. In Italia, questo tasso si attesta a 112,6 detenuti per 100.000 abitanti, al di sotto della media europea (127,7) e ancor più di quella mondiale (156). Un dato apparentemente rassicurante, ma che cela un paradosso: nonostante i numeri inferiori, il nostro Paese affronta da anni un problema cronico di sovraffollamento carcerario.
Perché poche carceri, poche alternative e molte contraddizioni
In Francia, Spagna o Regno Unito, dove i tassi di detenzione sono superiori, non si registra lo stesso livello di sovraffollamento. Come mai? La risposta emerge da un’analisi comparativa delle politiche penali e dei sistemi giudiziari. In Italia mancano infrastrutture carcerarie adeguate. Le misure alternative alla detenzione sono ancora troppo poco utilizzate. Il personale penitenziario, specialmente quello dedicato alla rieducazione, è insufficiente. I tre gradi di giudizio, sacrosanti per la garanzia dei diritti, allungano però i tempi della giustizia, spesso rendendola inefficace.
E poi c’è un fattore meno tecnico ma forse più determinante: un sistema politico percepito come corrotto, opaco, incapace di riformare se stesso. L’Italia è al 72° posto per percezione della trasparenza e moralità della classe dirigente. Come si può pensare di migliorare il sistema penale, se a monte mancano volontà e credibilità?
Dai provvedimenti di clemenza alle ricadute strutturali
Guardando ai dati, il Tasso di Detenzione mostra picchi significativi in corrispondenza dei provvedimenti di clemenza. Dopo il cosiddetto “indultino” del 2003 (Legge n. 207), che permise la sospensione della pena residua per chi aveva già scontato almeno la metà della condanna, circa 9.000 detenuti furono scarcerati. L’anno seguente altri 6.000. Una misura temporanea, ma con effetti protratti nel tempo. Nel marzo 2004, la popolazione carceraria era già risalita a 57.000 detenuti.
Solo tre anni dopo, si è replicato il medesimo errore con l’indulto del 2006. Il pretesto era sempre lo stesso: svuotare le carceri per riformare. Ma la riforma non arrivava mai. Anzi. L’articolo 575, quello sull’omicidio, non venne nemmeno escluso: un fatto grave, che avrebbe meritato almeno un dibattito trasparente e consapevole. La popolazione detenuta ha ripreso a crescere a ritmi vertiginosi: +16 nel 2007, +25 nel 2008, +18 nel 2009. Solo a partire dal 2011 si nota un sensibile calo (-6), dovuto probabilmente a politiche che tendono a utilizzare maggiormente le misure alternative, grazie ai D.L. 2010 Alfano, 2012 Severino, 2013 Cancellieri, che mostrano un’azione sul Tasso di Detenzione (dunque sul sovraffollamento).
Lo Stato recidivo e il bisogno di responsabilità
Non esistono, a oggi, studi completi sulla recidiva degli ex detenuti beneficiari della legge 207/2003. Tuttavia, i dati utilizzati per sostenere che gli indultati del 2006 abbiano tassi di recidiva inferiori sono parziali e fuorvianti, perché non considerano quel segmento di popolazione penitenziaria. In realtà, il primo vero recidivo è lo Stato, che persevera in politiche inefficaci e dannose, incapaci di mettere al centro i bisogni delle Vittime, dei cittadini e persino dei detenuti stessi.
A ogni nuovo provvedimento di clemenza, ci si illude di risolvere il problema con uno schiocco di dita. Ma la verità è che ciò che si scarica non è solo il peso delle celle, ma anche quello della responsabilità politica. Il Tasso di Detenzione è uno specchio. Ma quel che vi si riflette è una società incapace di guardare davvero in profondità: dentro le carceri, dentro le ferite delle Vittime, dentro le contraddizioni di chi governa.
di Barbara Benedettelli – Sociologa, saggista, giornalista e Vicepresidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime. Autrice di numerosi libri e studi su crimine, giustizia, AI e relazioni umane.
I MAGGIORI REATI PER I QUALI I DETENUTI SONO IN CELLA (Dati Min.Gius. al 17 ottobre 2013)
| Produzione e spaccio di stupefacenti 23.094 (detenuti di cui 8.657 in custodia cautelare, 59 internati ) |
| Rapina 9.473 (di cui 3.564 giudicabili, 5.801 definitivi, 108 internati) |
| Omicidio volontario 9.077 (di cui 2.792 giudicabili, 236 internati) |
| Estorsione 4.328 (di cui 1.982 giudicabili, 76 internati) |
| Furto 3.853 (di cui 1.824 giudicabili, 77 internati) |
| Violenza sessuale 2.755 ( di cui 709 giudicabili , 45 internati) |
| Ricettazione 2.732 (di cui 809 i giudicabili, 26 internati). |
| Associazione di stampo mafioso 1.424 detenuti. Il numero è basso perché gli indicatori relativi a chi ha commesso più reati (media 3 reati per detenuto), tengono in considerazione per un detenuto il reato più grave che ha commesso, e l’associazione di stampo mafioso spesso è legata a reati di maggiore gravità come omicidio ed estorsione. In questo numero sono dunque compresi coloro che non hanno commesso anche reati più gravi. |
| Sequestro di persona, associazione per delinquere, violenza privata, maltrattamenti in famiglia, violenza e resistenza a pubblico ufficiale, atti sessuali con minori, (500) |
| Immigrazione clandestina 1.238 |
| Il 13,2% del totale dei detenuti fa parte della criminalità organizzata, sono terroristi e più in generale individui pericolosi. |



