#MeToo: se un movimento giusto diventa ideologico

volto di uomo al buio

Condividere lo spirito del #MeToo non significa accettarne ogni deriva. Quando la denuncia diventa ideologia, a pagarne il prezzo sono le Vittime vere, quelle che non vogliono restare incatenate a quel ruolo.

#MeToo: un movimento necessario, ma non infallibile

Condivido l’origine del movimento #MeToo: la denuncia di chi abusa del proprio ruolo di potere per ottenere vantaggi, soprattutto sessuali. È un tema reale, urgente, da affrontare senza ipocrisie. Ma il #MeToo non si è fermato lì. È diventato, nel tempo, una bandiera ideologica che ha perso di vista proprio le Vittime che diceva di voler difendere.

La sua deriva estremista e parziale ha alimentato una pericolosa polarizzazione. Ha contribuito a rafforzare la guerra tra i sessi, dividendo il mondo in due blocchi monolitici: uomini predatori, donne vittime. Come se il genere bastasse a definire la colpevolezza o l’innocenza.

Vittima non è uno status, è una ferita

Detesto l’idea, oggi sempre più diffusa, che essere vittima (purché donna) sia diventato uno status sociale. Una condizione identitaria, in alcuni casi anche redditizia, utile a ottenere consensi, visibilità, talvolta carriere. Lo trovo uno sfregio nei confronti delle Vittime vere, quelle con la V maiuscola, che da quel ruolo faticano a liberarsi anche quando lo subiscono in silenzio.

Chi è stato davvero violato, non vuole rimanere lì. Lotta per uscire da quella posizione. E quando ci riesce, sente di avere vinto – non solo sul suo carnefice, ma anche sulla narrazione imposta dagli altri.

Abusi e potere: questione di umanità, non di genere

Uomini e donne sono prima di tutto esseri umani. E gli esseri umani, quando hanno potere e assenza di etica, abusano. Il genere non è garanzia né di giustizia, né di innocenza. Lo fa l’uomo potente di Hollywood, lo fa la direttrice di un supermercato. In forme diverse, ma con la stessa logica: quella del dominio sull’altro.

Il vocabolario Treccani definisce l’abuso di potere come una violenza che può essere morale, verbale, o fatta di ricatti. E queste dinamiche non hanno sesso. Hanno solo mancanza di coscienza.

Femminismo ideologico: un’arma a doppio taglio

Non accetto la superiorità morale di certo femminismo contemporaneo, ideologico, misandrico, opportunista. Un femminismo che, come scrisse ironicamente la giornalista Laurie Penny, “ha solo bisogno di radersi le gambe e cambiare taglio di capelli”. Non è emancipazione. È solo un’altra forma di potere che discrimina invece di includere.

Verso un paradigma di giustizia inclusiva

C’è bisogno di un nuovo sguardo, che superi le contrapposizioni ideologiche e individui un paradigma condiviso e inclusivo. Un sapere che, come ci ricorda Edgar Morin ne I sette saperi necessari all’educazione del futuro, non sia vittima delle proprie menzogne, né delle false certezze sul bene e sul male, su chi ha sempre torto e chi ha sempre ragione.

Il #MeToo ci ha dato uno strumento. Sta a noi decidere se usarlo per fare luce sulla verità o per gettare altre ombre.

di Barbara Benedettelli — Sociologa, saggista, giornalista e Vicepresidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime. Autrice di numerosi libri e studi su crimine, giustizia, AI e relazioni umane.

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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è sociologa, saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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Chi è Barbara Benedettelli
Sociologa, giornalista e saggista. Autrice di inchieste su giustizia, vittime, violenza relazionale e intelligenza artificiale. Editorialista per Il Giornale e autrice di saggi come Dialogo con l’Umanità, Connessioni Pericolose e 50 Sfumature di Violenza.

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