Non sono numeri: sono vite. L’ondata di calore del 2025 ha già fatto oltre 2.300 morti in Europa. Ma il caldo, quando uccide, non è solo clima: è disuguaglianza, solitudine, abbandono. E silenzio.
Un’estate che uccide
Nei primi dieci giorni di luglio 2025, più di 2.300 persone hanno perso la vita in 12 città europee colpite da un’ondata di calore senza precedenti (Guardian, 9 luglio 2025). A Roma e Milano i decessi stimati sono quasi 500, secondo i dati ufficiali. Cinque persone sono morte nel Salento il 22 luglio, in un solo giorno. Ma questa non è una notizia. È cronaca che scivola tra le righe, bruciata dal rumore di fondo. Eppure dietro ogni cifra c’è un volto, una storia, una sedia vuota, come accade dopo ogni morte ingiusta.
Il caldo colpisce dove c’è meno difesa
Non è vero che siamo tutti uguali davanti al clima. Il caldo uccide più facilmente chi vive solo, chi non può permettersi un condizionatore, chi lavora sotto il sole, chi abita in case vecchie, esposte, in quartieri senza alberi.
Uccide anziani dimenticati in condomìni senza ascensore. Uccide operai che nessuna norma tutela fino al collasso. Uccide anche i più giovani, quando lo sport, l’incoscienza o la povertà li espongono oltre il limite. Il caldo, insomma, sceglie le sue vittime come fa la società: colpendo chi ha meno protezioni, meno voce, meno spazio.
Le responsabilità sono umane, non solo atmosferiche
Secondo il World Weather Attribution, il cambiamento climatico ha triplicato la probabilità di eventi come questo, dicono i climatologi. Ma le conseguenze non sono scritte nel cielo: dipendono dalle nostre scelte, oggi. Molti Comuni non hanno un piano operativo. Gli allarmi meteo restano notifiche. I fondi per la prevenzione sono ridicoli rispetto all’impatto. La Protezione civile fa quello che può, ma da sola non basta. E noi? Quante volte lasciamo “al caldo” un genitore, un vicino, un senzatetto, dicendo “ci penserà qualcun altro”?
Il caldo diventa ingiustizia sociale quando uccide per abbandono. Diventa violenza sistemica quando le istituzioni non prevengono, non proteggono, non imparano.
Non dimenticare chi resta
Chi muore per caldo non ha giustizia. Non ci sono colpevoli, non ci sono inchieste, non ci sono risarcimenti. E spesso non c’è nemmeno memoria. Si muore due volte: per disidratazione e per invisibilità. Ma c’è chi resta. Chi trova un corpo nel letto la mattina. Chi vede l’ambulanza andare via senza sirene. Chi si chiede se avrebbe potuto fare qualcosa. Chi deve imparare a vivere con un’assenza senza colpe e senza voce.
Queste morti sono solitudini estreme in un mondo interconnesso. E proprio per questo sono una sconfitta: della politica, dell’etica, dell’umanità. Non possiamo più permetterci di considerare il caldo una questione meteorologica. Ogni estate sarà più calda della precedente. Ogni grado in più ha un costo in vite umane. Non servono solo condizionatori. Serve cura. Pianificazione. Responsabilità. Comunità. E serve, prima di tutto, ricordare chi non c’è più.


