Eluana Englaro, Vita o non Vita?

Da una parte un Governo attento, coinvolto, umano, che cerca di salvare una vita. Che ha il dovere, anche etico, di salvare una vita. Dall’altra una coltre troppo grande, tristemente grande, di persone che usano una tragedia umana per tentare di riemergere dall’ombra.

Ancora una volta, anche su un fatto che colpisce le coscienze di ogni uomo, che costringe a riflettere sul mistero della vita anche chi generalmente “viaggia” nella comoda superficialità, ancora una volta c’è tanta gente capace di sfruttare l’evento per un tornaconto personale. E non lo fa a causa del solo “sentimento” davvero lecito in questa vicenda, il sentimento del dubbio. Non lo fa, dove il dubbio c’è, scegliendo per la soluzione che offre altre eventuali possibilità – possibilità che per ora potrebbero essere presenti anche solo nella mente di uno scienziato, ma che un domani potrebbero permettere una guarigione, o solo una condizione migliore di esistenza. No. Lo fa, come consuetudine propria, rovesciando l’ordine delle cose. Attaccando quelle istituzioni che stanno tutelando il solo interesse davvero importante: l’interesse alla vita.

Perché, lasciamo stare pure per un momento Eluana – che mentre scrivo è portata a una morte lenta, “reale”, definitiva e, sembra, anche dolorosa -, le persone in stato vegetativo hanno danni fisici e cerebrali gravi, ma sono vive. E se l’istinto di sopravvivenza è davvero radicato in noi, è possibile che in loro agisca donando la capacità, a noi “normali” sconosciuta, di “esistere” anche dentro un corpo immobile. Perchè questa possibilità non viene presa in considerazione?

C’è chi dice : “lei è morta già 17 anni fa”. A cosa serve allora ucciderla ancora? A far stare meglio la sua famiglia stanca dell’immenso e probabilmente insopportabile dolore? Perché di questo sì, possiamo avere certezza, del dolore di quella famiglia. Ma poi? Papà Englaro vuole uccidere la figlia perchè è convinto che questo sia il bene di Eluana. E’ convinto che questo possa “liberarla”. Forse è cosi’. Ma forse no. Forse lei è consapevole, sa che la stanno facendo morire, forse non vuole abbandonare questa “sua” vita anche se diversa da quella che aveva prima, e non è in grado di fermare tutto questo. E lì dentro piange, grida senza voce, perchè magari vorrebbe dire che le basta avere i suoi cari vicini, ascoltarli, sentirli respirare. Perché tra queste due possibilità scegliere quella senza rimedio? Quella definitiva: la morte?

Le possibilità sono due. Due soltanto. Lei sola sa cosa vuole oggi, lei sola è davvero “informata” della sua condizione attuale, ma lei sola non può dire cosa vuole. Questo è giusto? Questa è libertà?

Noi sappiamo cosa vuole suo padre da quasi subito. Da molti anni. Vuole “liberare” Eluana. Lo faccia. Lo faccia, ma non chieda l’autorizzazione dello Stato. Lo faccia, ma se ne renda pienamente responsabile. Lo faccia, probabilmente lo capiremo, capiremo la sua esasperazione. Piangeremo per lui e per lei e per quella madre di cui molti neanche conoscono il nome. Avremmo sicuramente anche pietà per il dolore che, dopo, non andrà via. Sarà solo diverso.  Ma non ci chieda di autorizzarlo.

Personalmente l’eutanasia non la escludo totalmente. Può essere una possibilità. Ma deve essere una reale, non presunta, volontà personale. Una volontà scaturita in primis dall’ incapacità di sopportare dolori devastanti e insopprimibili. Ma non è questo il caso.

Anzi, stia attento chi grida “lasciatela morire in pace”, questa frase potrebbe avere il valore di un testamento! Questo, più o meno, è accaduto a lei. Attenti dunque a cosa dite quando parlate di queste cose, quando ne scrivete, perché se poi capitasse, in una sfortunata e non auspicabile né augurabile occasione, di trovarvi nelle stesse condizioni della cara Eluana e vi rendeste conto che vivere si può, per voi non ci sarebbe davvero niente di niente di niente da fare. Grazie al precedente, qualcuno direbbe: un giorno ha dichiarato che in certi casi la morte è meglio! Ecco, se in quella malaugurata possibile occasione vi accorgeste che sperare è possibile anche se non si riesce a comunicarlo agli altri, gli altri, intenti a seguire un “protocollo “, non li potrebbe fermare più nessuno. Amen.

Proprio perché la vita è mistero, come, per ora, lo stato vegetativo, non si può optare per una via non modificabile. Ed è davvero inammissibile che, al di là delle ideologie politiche o religiose, chi si batte perché la vita non sia calpestata anche quando non è come la vorremmo, anche quando non è perfetta, anche quando non è “pura”, sia messo alla gogna. Non è ammissibile trasformare una questione di tale valore umano, etico, culturale e morale in qualcosa di esclusivamente politico, o religioso.

Ancora una volta si utilizza come una spada un problema – che diventando pubblico diventa di tutti, interessando un bene universale, non certo di proprietà esclusiva della morale cattolica o degli Englaro. E il risultato qual è? Il valore profondo è svilito, viene trasformato in mero oggetto di contesa – un “evento” per colpire i soliti noti.

E’ ora di finirla. Ci sono momenti in cui bisogna fermarsi, fare una pausa, riflettere sulla nostra condizione umana. Non esiste una verità oggettiva, per questo gli uomini hanno creato gli Stati. Per questo nel dubbio sono le leggi, condivise dalla maggioranza dei cittadini, a stabilire i criteri entro i quali svolgere e praticare le nostre libertà private e pubbliche.

Mantenere innanzitutto la posizione che va verso la vita è un dovere di chi, essendo al di fuori dei fatti, ha la lucidità e la ragionevolezza necessarie per valutare e interrompere un atto che può avere conseguenze devastanti – e irreversibili – non solo sul singolo, ma anche sull’intera società.

Credo che il nostro Presidente Napolitano, che stimo e rispetto, non abbia agito nell’interesse comune. Credo che abbia agito come uomo singolo che colto dai dubbi inevitabili di fronte a un evento cosi’ straordinario ed eccezionale,  sceglie la via del non ritorno. Una via che probabilmente reputa – e che forse è – la più giusta, la meno dolorosa, ma che non concede una seconda possibilità.

Rispetto la Sua scelta ma non la posso condividere. Personalmente credo che una famiglia devastata dal dolore, e che si muove in una prospettiva alterata da quello stesso dolore, abbia sollevato “il caso” mediatico proprio per avere, in un certo senso, il benestare della gente. Il benestare delle Istituzioni nel compiere un atto che, nel profondo, forse, non avrebbe scelto. Ecco un altro dubbio che purtroppo solo dopo, quando niente si potrà più fare, potrebbe essere sciolto.

Le leggi devono tutelare l’interesse comune prima che del singolo. L’interesse comune non è mai la scelta determinata da altri – familiari o magistrati – di porre fine alla vita di un uomo. L’interesse comune è di mantenere la vita e di fare in modo che chi si trova in condizioni così disperate possa avere la possibilità di provare almeno tutte le infinite possibilità. Uno Stato deve tutelare anche i cittadini meno fortunati, anche quelli che sono, secondo alcuni, “vivi solo a metà”. 

Anche loro hanno respiro, hanno funzioni vitali procreatrici – perfino su questo qualcuno ha avuto da dire -, hanno movimenti cerebrali che potrebbero significare coscienza e di certo, come molti genitori nelle stesse condizioni di Englaro sostengono, hanno un bisogno di amore infinito e grande. In tutti questi casi lo Stato deve mettere in condizione i medici di sperimentare e deve alleviare le famiglie nella cura quotidiana, ma mai deve muoversi contro la vita che infondo è la sola nostra certezza . Né può autorizzare alcuno a farlo.

Questa discussione non dovrebbe neanche porsi. Il problema va oltre le ideologie – e se c’è qualcuno che usa questa situazione per fini esclusivamente politici non è certo il Governo che anzi, se avesse potuto risparmiarsela ne avrebbe solo guadagnato.

Qui è in gioco qualcosa che va oltre anche alla stessa Eluana. Qui è in gioco la nostra intera esistenza. Molti chiedono rispetto per papà Englaro, lui ha il rispetto di tutti, anche chi non è d’accordo con lui non può provare che sentimenti di vicinanza. Ma merita rispetto anche chi, pur avendo la consapevolezza dell’immenso dolore dei familiari, non accetta che un essere umano sia fatto morire per una volontà personale solo presunta, non informata, espressa in una epoca della vita molto lontana e in cui si è inconsapevoli, immaturi. Una frase detta, sotto la spinta emotiva che ora, in forma certamente più piena, investe la stessa famiglia Englaro, non può essere considerata “testamento”.

Barbara Benedettelli

Aggiornamento:

ERA VITA? ADESSO È MORTA!

Mi dispiace. Mi dispiace Eluana. Credo che molti, in Italia e non solo, ora piangano per te e per quel padre che, autorizzato a farlo da una cultura che mi vede distante e lontana, ti ha uccisa. Lui sostiene di averti liberata. Un giorno forse si chiederà perché nessuno lo ha fermato. Noi ci abbiamo provato. Noi che siamo per la vita, la sola certezza che abbiamo. Non ti conosco, t’immagino soltanto, provo a pensare a te, a chi eri, a chi sei diventata dopo. Dopo quell’istante che ha modificato tutto.  
Adesso non ci sono più se, né ma, né forse. Adesso c’è qualcosa che sappiamo essere di ognuno, ma che non conosciamo: c’è la morte. Da lì non si torna indietro. La morte non ammette ripensamenti.
Oggi è il giorno della tristezza, del lutto. Non ti conosco eppure ora piango. Poco fa ho scritto di te, per te, ho scritto con la speranza nel cuore che tutto questo processo di morte, una morte indegna, pubblica, si potesse fermare. Adesso nel cuore ho una ferita. Piango per te.  Perchè sei stata trattata come qualcosa che non è umano. Perché sei stata uccisa e mentre la tua morte avveniva, noi lo sapevamo, e non abbiamo potuto trattenerti.

C’è chi dice: “spero non abbia sofferto”. Invece temo proprio che abbia sofferto, lo hanno messo per iscritto oltre 20 medici europei. C’è chi dice: “spero che la tua nuova esistenza sia migliore della prima”. Ma come? Quando era in stato vegetativo era “morta” e adesso che è morta davvero è “viva”? E’ dunque meglio la presunta “esistenza” dell’oltre, della “presunta” esistenza del qui? C’è chi grida: “E’ stata uccisa! Il colpevole è suo padre!”.

Non è suo padre il colpevole. Un uomo al quale la vita è drasticamente cambiata insieme a quella della figlia, tanti anni fa, non può essere considerato colpevole. Le sue azioni sono mediate dalla sofferenza. Oggi, il mio pensiero va anche a lui, perché sono certa, il suo dolore sarà incolmabile, ora è privo perfino di quel granello di speranza che gli uomini sanno mantenere fino all’ultimo respiro. Alla morte, quella vera, non c’è rimedio. La morte si prende la vita. Per sempre. E se un giorno si chiedesse perché nessuno lo ha fermato?.

Se quel giorno arriverà, chi, lucidamente o incautamente, responsabilmente o meno, ha permesso, o anche solo sperato che una donna morisse, quel giorno molti dovranno farsi un esame di coscienza vero, reale, profondo e libero da condizionamenti esterni. Mi auguro, e ci auguro, che la meditazione sulla vita a cui gli Englaro ci hanno costretti non soccomba alla cultura della morte come rimedio al dolore. Che la morte non prevalga come prima possibilità che le esclude tutte. Che questa riflessione porti ognuno, pro o contro, a ragionare sul nostro tempo, sulle violenze quotidiane, su un mondo abitato da esseri che non sanno più camminare sui piedi, che vanno avanti senza guardare davvero e che quando lo fanno, in gran parte, lo fanno a testa in giù o con occhi altrui.

La vita è la nostra unica certezza, va tenuta come il solo tesoro davvero da tutelare, rispettare, proteggere. Amare. La vita viene anche prima della libertà, perché senza vita non c’è niente. 

Barbara Benedettelli
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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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