Oggi 25 novembre 2022, nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, faccio un appello. Prima, però, il tema. In
Fiorello ha pianto pensando a sua figlia costretta all’isolamento in una delle età più belle e importanti della vita. E piango anche io, mamma di un quattordicenne suo coetaneo, condannato senza possibilità di appello alla solitudine forzata. E alle inevitabili ripercussioni sulla sua salute mentale (che nessuno pensa di tutelare) e sul suo futuro.
Eppure gli effetti di questa prigionia sono evidenti. Lo sono grazie ai pochi che se ne stanno occupando attraverso appositi studi, e negli ospedali, dove insieme ai malati Covid aumentano i casi psichiatrici che vedono coinvolti i ragazzini.
In alcune regioni chiudono le scuole. Ancora. Tutte. Lo si fa da oggi pomeriggio a domani mattina. Senza pensare ai genitori che non possono andare al lavoro. E soprattutto a loro. I nostri figli. Gli uomini e le donne di un domani che non sanno neanche più immaginare.
In Lombardia, dove vivo, i liceali erano in alternanza. Un giorno sì e uno no alcuni, una settimana si e una no gli altri. A nessuno, tra chi ha deciso il giovedì di chiudere il venerdì, è venuto in mente che quel venerdì a scuola per un adolescente del 2021 è aria. Davvero chiudere il sabato avrebbe cambiato le cose per il Covid? Di certo le avrebbe cambiate per loro. Questi esseri in evoluzione, di cui non frega un cazzo a nessuno! Il francesismo è obbligatorio. Non mi scuso.
Chiudono le scuole (l’ultima delle priorità nell’era dell’uno vale uno, anche se ora c’è Draghi al momento questo è) e cosa succede? Il virus se ne va all’improvviso? Puff! Avrei un altro francesismo, ma mi taccio.
In un anno abbiamo allargato le aule, le abbiamo improvvisate ovunque, abbiamo allontanato i banchi e aperto le finestre in inverno. Poi li abbiamo obbligati a tenere una maschera che copre mezzo volto per ore e ore in classe, senza mai poter prendere fiato, oppure arriva la nota. Se serve si fa! Ma serve?
Il passaggio tra le medie e il liceo è una tappa obbligata della vita che va oltre la didattica. Ha a che fare con l’evoluzione umana. Il coetaneo amico/nemico non è un vezzo, è una necessità biologica, psichica, indispensabile alla crescita.
In un anno cruciale della loro esistenza sul piano psicofisico, queste giovani anime, al momento perse, sono passate da mesi di terza media in Dad, al primo esame importante della vita in Dad, al salutare i vecchi compagni in chat. Fine pena mai, questo pensano. Perché anche la prima Liceo entra subito nell’incubo Dad (Dispositivo Altamente Degenerativo, ovviamente un mio neologismo). Ma chi decanta la Dad i figli li ha? E se li ha, non sente il pianto lancinante della loro anima?
Loro la vita normale quasi non la ricordano più. Pensano, e temono, che non tornerà. Ma quando tornerà – e tornerà -, terrà conto del salto temporale che sono stati costretti a fare?
Dei nuovi compagni e dei professori vedono solo gli occhi. Stanchi, arrabbiati, tristi. O severi. Perché tra i prof c’è anche chi, alla fine, in Dad sta bene. E continua imperterrito a fare lezione per un’ora di fila, a volte due, anche superando di qualche preziosissimo minuto quella pausa tra una lezione e l’altra in cui staccarsi dal pc per sentirsi un po’ più umani.
Posto che l’attenzione vigile e costruttiva è limitata già in presenza, figuriamoci in Dad! Ma chissene. E via con i 3 i 4 e i 5. A che pro? L’unica cosa che si potrebbe certamente recuperare sono proprio le nozioni.
Possiamo dire che la rete e il monitor durante le chiusure hanno comunque contribuito a mantenere gli alunni attivi sul piano intellettuale e anche su quello sociale. Ma non possiamo dire che questo tipo di socialità sia umana. E’ mediata da mezzi freddi, che sì, permettono di restare connessi, ma che senza il contatto fisico obbligano a rinunciare alle emozioni. Dunque all’umanità.
Gli adolescenti sono persone in una delle età più complicate e straordinarie della vita. Complicate, delicate e allo stesso tempo magiche. Perché è proprio tra i 13 e i 15 anni che comincia la strada per l’indipendenza. E’ qui che si spiegano le ali e si comincia a volare da soli. Ecco, quelle ali gliele abbiamo legate per un anno.
Il rischio è che quando le slegheremo potrebbero non essere più in grado di farli alzare in volo, perché l’eta biologica in cui ciò accade è trascorsa tra morti, mascherine, disinfettanti, solitudine, schermi freddi, mancanza di abbracci. Impossibilità di pensare e organizzare il futuro più prossimo.
In una fase evolutiva che non può tornare – a meno che non vi sia una regressione cerebrale -, perché determinata dalle modifiche strutturali e funzionali del cervello, hanno imparato ad avere paura. Paura dell’altro e delle istituzioni, che si sono dimostrate insensibili ai loro bisogni più elementari. Come quello, per alcuni banale, di stare insieme ai propri coetanei per specchiarsi e riconoscere se stessi.
E hanno imparato a odiare gli adulti, che si sono dimostrati incapaci di affrontare con determinazione un virus piccolo piccolo che li ha resi altrettanto piccoli ai loro occhi. E che a volte hanno più paura di loro. O, peggio, li individuano come causa di tutti i mali.
Recupereranno mai, sul piano emotivo, un anno di vita anche interiore persa? Per quanto ancora la salute mentale delle nuove generazioni sarà l’ultima delle priorità? Come si “ristora” una mente adolescente la cui evoluzione è stata messa interrotta così a lungo, in isolamento, sostanzialmente al buio?
E ora veniamo alla scuola, ai programmi. Anche qui mi viene da piangere. Perché nessuno ha pensato di modificare la programmazione didattica continuando a lavorare come se tutto fosse normale? Questi nostri figli, né carne né pesce, né bambini né ragazzi, demotivati, tristi, arrabbiati, come possono seguire un programma che non tiene conto delle loro enormi difficoltà?
Per finire questo mio lungo sfogo desolato e triste, perché ricco di senso di impotenza, veniamo alla scelta di chiudere le scuole e tenere i negozi aperti, se pur con ingressi contingentati.
Cosa dire loro quando chiedono perché non possono fare sport, vedere gli amici, andare a scuola, mentre si può uscire per andare a comprare la cosa più inutile del mondo? “E’ necessario tenerle aperte per mantenerle in vita”. E perché – rispondono loro – a noi ci state facendo morire dentro?
Barbara Benedettelli
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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