Non comprendiamo ciò che leggiamo perché l’iperconnessione e l’eccesso di informazioni frammentate compromettono la nostra capacità di capire davvero.
La nostra mente digitale non capisce ciò che legge, eppure, viviamo immersi nell’informazione. Noi leggiamo, ma non comprendiamo davvero. Ogni giorno riceviamo un flusso continuo di dati, notifiche, articoli, commenti, video, meme. Siamo iperconnessi. Ma siamo anche, sempre più spesso, disorientati. Abbiamo perso il senso. Letteralmente.
L’accesso all’informazione non è mai stato così facile. Ma accesso non è comprensione. Né tanto meno conoscenza. È come se ci muovessimo in un supermercato del sapere, dove prendiamo ciò che ci serve per il momento – spesso solo il titolo – e andiamo via. Ma non leggiamo davvero. Non approfondiamo. Non verifichiamo. Non uniamo i puntini. E così, nasce una nuova ignoranza: non quella del vuoto, ma quella del troppo. Non l’assenza, ma l’ info-frammento: un reel, un tweet, una slide, un post virale. Il contenuto si misura in secondi, non in pagine.
I social premiano ciò che cattura, non ciò che spiega. L’algoritmo non cerca la verità: cerca attenzione. In questo nuovo ecosistema, la nostra mente si adatta: perde la capacità di concentrazione, si disabitua alla complessità, si allena allo scroll e disimpara il pensiero critico. Microsoft ha rilevato che la soglia media di attenzione è ormai inferiore a 9 secondi. Secondo il MIT, leggiamo meno e capiamo peggio su schermo. Il problema è strutturale, e riguarda tutti.
Però, quando la comprensione arretra, la manipolazione avanza. Le fake news non sono un incidente: sono il prodotto naturale di un sistema che funziona a click e reazioni. Nella società della “post-verità”, l’emozione conta più del fatto, la velocità più della verifica. E ciò che sembra vero, vale più di ciò che è vero. È un problema cognitivo, ma anche politico, culturale, sociale.
Lavoro da mesi sul rapporto tra tecnologia e consapevolezza. Nei miei libri recenti – Connessioni pericolose e Dialogo con l’Umanità – ho cercato di raccontare proprio questo: la sfida di restare umani in un mondo che corre troppo in fretta per capire dove va. La vera sfida oggi non è “stare al passo”, ma ritrovare il passo. Rieducare lo sguardo, il pensiero, la comprensione. Riaccendere la curiosità che chiede perché, non solo come. Il sapere non è fatto di pezzi isolati. È un mosaico. È relazione, profondità, tempo.
Se non è così, allora non comprendiamo più quello che leggiamo. Ci accontentiamo. In questo modo, però, perdiamo di vista il disegno complessivo e la profondità necessaria per comprendere davvero. Capire, in un’epoca dominata dalla velocità e dalla frammentazione, diventa un atto rivoluzionario, ma anche un atto necessario per non soccombere all’informazione superficiale.
Oggi più che mai, se continuiamo a sapere “a pezzi”, rischiamo di vivere a pezzi: frammentati, disorientati, incapaci di vedere la realtà nella sua complessità. E la cosa più pericolosa è che potremmo non accorgercene nemmeno, abituandoci a questa nuova forma di ignoranza digitale. Per invertire questa tendenza, è fondamentale rieducare il nostro modo di leggere e di pensare: non possiamo permetterci di non comprendere più quello che leggiamo online. Dobbiamo riprendere il controllo della nostra attenzione, andare oltre il click e il titolo, e investire tempo ed energie nella comprensione profonda. Solo così possiamo sperare di costruire un sapere solido, capace di guidarci in un mondo sempre più complesso e interconnesso.
di Barbara Benedettelli — Sociologa, saggista, giornalista e Vicepresidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime. Autrice di numerosi libri e studi su crimine, giustizia, AI e relazioni umane.
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