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Serena Mollicone, dopo sedici anni nuove prove vicini alla soluzione? Serena Mollicone, 18 anni, intorno alle 11 del mattino entra nella Caserma dei Carabinieri di Via Valle. Siamo ad Arce (Frosinone) ed è il primo giugno 2001. Due giorni dopo viene trovata morta in un boschetto a Fonte Cupa (oggi Fonte Serena) in una località poco distante dal paese. La testa è avvolta in un sacchetto di plastica, alla bocca e sugli occhi ha del nastro adesivo, le mani e i piedi sono legati con filo di ferro. Sul corpo sono evidenti segni di gravi percosse, ma non ha subito violenza carnale.
Ora, dopo sedici lunghi anni di mistero e di angoscia per la famiglia, emerge probabilmente la prova che Serena è stata massacrata di botte proprio in quella Caserma. Una perizia di 250 pagine, disposta dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo – che ha analizzato il corpo riesumato nel 2016 quando è stata riaperta l’inchiesta – rivela gli ultimi tragici momenti di vita della povera ragazza. Suo padre, sin dal momento della scomparsa, ha sostenuto che la chiave del giallo era proprio nella Caserma e la nuova perizia sembrerebbe confermarlo.
Già indagati in passato con l’accusa di concorso in omicidio volontario e occultamento di cadavere, sotto il mirino degli inquirenti ci sono ancora Franco Mottola, comandante al momento dei fatti, la moglie e il figlio Marco. Tutti e tre presenti nella struttura militare quel mattino, dove avevano un’ala adibita ad appartamento. Ma ci sono voluti sette anni dal delitto per scoprire che la vittima quel giorno era stata in Via Valle. Solo nel 2008 il brigadiere Santino Tuzi ha rivelato di averla vista:
“Serena quel giorno è entrata in Caserma per fare una denuncia, io ho chiamato l’appartamento del comandante e mi hanno detto di farla salire. Quando ho lasciato il lavoro intorno alle 14.30 Serena non era ancora uscita“.
E qui c’è un giallo nel giallo: tre giorni dopo la testimonianza Tuzi è stato trovato morto nella sua auto, si sarebbe sparato alla tempia con la pistola d’ordinanza. Una morte sulla quale si sta ancora indagando dopo la riapertura, nel 2016, di un’inchiesta per istigazione al suicidio. Perché il sottufficiale non ha parlato prima? Era minacciato? Secondo la figlia si:
“Io penso che abbia assistito a qualcosa accaduto in quella Caserma e per questo è stato ricattato e non ha parlato prima. Se non è stato ucciso vuol dire che è stato costretto a uccidersi per proteggere la famiglia”.
Altra conferma della presenza di Serena in caserma è più recente: una perizia calligrafica dimostrerebbe che una firma nel registro di quel giorno, parzialmente cancellato, è della ragazza. Secondo l’accusa il movente sarebbe l’intento di Serena di denunciare un giro di droga nel quale sarebbe stato coinvolto il figlio dell’ex comandante.
L’aguzzino (o gli aguzzini) l’avrebbe presa a calci e pugni, sbattendole la testa contro una porta, poi l’avrebbe trasportata sul luogo del ritrovamento ancora viva e qui, in seguito, uccisa. Questo è quello che emergerebbe dalla perizia della dottoressa Cattaneo: c’è una perfetta compatibilità tra le ferite al cranio riportate da Serena e la porta di uno dei locali in uso alla famiglia Mottola; l’altezza della vittima e del danneggiamento alla porta coincidono.
Non sono state le percosse e la violenta botta in testa a uccidere la ragazza, ma il soffocamento avvenuto dopo ore di agonia. L’ipotesi è che sia stata tramortita in Caserma e poi trasportata sul luogo del ritrovamento, dove, alcune ore piò tardi, l’aguzzino si sarebbe recato nuovamente. Trovandola viva le avrebbe infilato un sacchetto in testa per finirla. Non un ripensamento, non un sussulto al cuore nel vederla agonizzante. Niente. Solo crudeltà.
Per l’avvocato della famiglia indagata, “verso i Mottola non è mai emerso niente di concreto per una condanna, i nuovi risultati non aggiungeranno nulla.” Adesso starà agli inquirenti accertare una verità che i genitori di Serena aspettano da oltre sedici anni.
di Barbara Benedettelli (pubblicato sul settimanale Spy)
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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