Matilda, una bambina, è morta violentemente. Due adulti erano con lei. Nessun colpevole. La verità oggettiva è stata cancellata da un sistema che ha smarrito la sua funzione. Questo è il delitto perfetto.
Una bambina morta. Due adulti presenti. Nessun colpevole.
Matilda è morta ammazzata. Una bambina, una vita innocente spezzata mentre si trovava in compagnia della madre e del compagno di lei. Chi l’ha uccisa?
Non lo sappiamo. O meglio, lo sappiamo ma non possiamo dirlo. Perché la verità oggettiva – quella che dovrebbe guidare ogni procedimento penale – è stata sepolta sotto strati di carte, omissioni, formalismi. Non è bastato il corpo di una bambina morta per mettere in moto un sistema capace di arrivare a una risposta netta, chiara, giusta. Una risposta che rendesse onore alla sua breve esistenza.
La verità negata dal sistema
In quel buio in cui Matilda è morta, ce l’ha condotta qualcuno che conosceva bene. Qualcuno di cui si fidava. Ma il processo non ha riconosciuto colpevoli. La Verità, quella con la maiuscola, è rimasta schiacciata sotto il peso di un sistema giudiziario che ha perso la bussola. Un sistema che non mette al centro la Vittima, né la ragione semplice e brutale della sua morte: la violenza.
Due adulti presenti. Nessun colpevole certo. E intanto, Matilda non c’è più.
La banalità del male. E della verità.
Il male, come scriveva Arendt, è banale. Lo è perché si mimetizza nella normalità. Così come è diventato “normale” accettare una verità processuale diversa da quella che la logica, la coscienza e la ragione ci indicano con chiarezza. Matilda è stata uccisa. Quando è morta, era in compagnia di due persone. Se non è stato il diavolo, allora chi?
Quel demone, in effetti, esiste. Si chiama Nulla. È l’assenza di senso e di responsabilità che attraversa le relazioni, le istituzioni, i codici, la cultura. È il nulla che ha inghiottito la verità su Matilda e su tante altre vittime. È il nulla che ha permesso a un sistema intero di assolversi, di rimandare, di non decidere.
Una riapertura che ridà voce alla coscienza
Per questo, la riapertura del caso da parte della Cassazione è un atto di giustizia morale, prima ancora che giudiziaria. Perché quando la verità oggettiva viene ridotta a minuscola, come una formica, basta un piede per schiacciarla. E nessuno si indigna più.
E così tutto è possibile. Anche il delitto perfetto. Quanti delitti perfetti abbiamo in Italia? Troppi. Ma il “merito” non è solo di chi uccide. È anche del sistema che non punisce, della politica che si lava le mani, della legge che assolve quello che l’altra condanna. In questa confusione, la verità diventa un avatar e la vita umana un dettaglio. Si può schiacciare. E chi la schiaccia, può chiamarla libertà. Con la L maiuscola.
Matilda è morta. E noi?
La sua morte grida. Grida contro un sistema incapace di proteggere chi non ha voce. Incapace di compiere la sua funzione originaria: quella di fare giustizia. Quella di dire, con chiarezza, chi ha sbagliato. Chi deve rispondere. Chi ha la responsabilità di una vita che non c’è più.
La giustizia non può più permettere fughe, scorciatoie, interpretazioni che trasformano un colpevole in un “non abbastanza colpevole”. Come scriveva Camus, l’assassino si assolve prima ancora di essere giudicato. Ma quando la giustizia fa lo stesso, allora è il sistema stesso a essere complice.
Le due persone che erano con Matilda non sono innocenti oltre ogni ragionevole dubbio. Sono entrambe responsabili. Perché una bambina è morta sotto la loro responsabilità.
Il buco nero della giustizia senza coscienza
La vera mostruosità non sta solo nell’atto che ha tolto la vita a Matilda. Sta nella sproporzione tra i fatti e le conseguenze. Sta nel sistema che legittima l’indifferenza, che accetta di non sapere, che difende la libertà anche quando va oltre la vita.
Questo è il vero buco nero. Quello che può inghiottire l’umanità molto prima di qualsiasi catastrofe naturale.


