Ci sono reati che sono male in sé e non perché sono proibiti. E per chi li compie non deve esserci scappatoia.
E durante quella sospensione di una pena che non c’è, che è solo virtuale, può tenere stretta la figlioletta tra le braccia e obbligarla a morire bruciata. Una crudeltà senza pari, che poi, dopo, non appare neanche più crudele. Perché, poverino, stava male, era fuori di testa per la separazione. E allora il buonismo interviene a trasformare quella crudeltà vigliacca in semplice cieca disperazione.
Ma in questa storia come in migliaia di altre, c’è un’altra crudeltà, quella di un sistema giudiziario che punta la luce sul reo e sulla sua libertà. Anche quando quella libertà non la merita. Anche quando grazie a “quella” libertà degli innocenti possono morire in modi atroci.
Pena sospesa. Che senso ha allora una condanna? Perché al di là di come sia impostato il nostro sistema penale, questa domanda ce la dobbiamo fare. Che senso ha spendere soldi per processi infiniti, a volte dolorosi, se poi, nonostante la colpevolezza, la pena viene sospesa?
Se Ginafranco Di Zio avesse scontato la sua pena – in carcere sì, dove ci devono stare le persone che commettono reati gravi come lo sono quelli per cui è stato condannato – se fosse stato in carcere la sua bambina sarebbe ancora viva. Se in quel carcere, nel frattempo, avesse seguito un programma di rieducazione ai sentimenti, al rispetto dell’altro; se fosse stato seguito da uno psicologo con serietà, oggi la sua bambina sarebbe viva. Invece è morta tra le braccia di un padre vigliacco e le grida di una madre impotente di fronte al fuoco che se l’è portata via, senza risparmiarle un dolore fisico e psicologico immenso.
E mi ritorna in mente Tommaso Onofri, anche lui ucciso da chi non doveva essere in libertà. Come mi vengono in mente le persone ammazzate sulle nostre strade da chi aveva già ucciso prima. Da chi era stato condannato a pene sprezzanti del valore vita e poi sospese.
Lo ripeto come un mantra da anni. E lo faccio mentre il Presidente Napolitano, che dovrebbe esserlo di tutti i cittadini e non solo delle minoranze, chiede ancora attenzione al problema delle carceri dimenticando di chiedere attenzione verso le migliaia di persone che vivono nella paura a causa di una giustizia incapace di tutelare la sola libertà che conta davvero, quella che rispetta la libertà altrui.
Se la pena fosse certa e immediata, specie nei casi in cui il pericolo per la vita e l’incolumità degli Altri è concreto; se lo fosse quando il “bene sottratto” ha a che fare con la nostra integrità e la nostra esistenza e ha un valore non negoziabile; se fosse certa e immediata ogni volta che ci troviamo di fronte a reati contro la persona e privata degli istituti premiali come patteggiamenti, condizionali e sconti automatici, forse qualche vita si sarebbe salvata.
Anzi, tolgo il forse. Invece la libertà la tuteliamo anche oltre il limite entro cui essa stessa non esiste: la vita. Il solo bene sine qua non che deprezziamo.
Barbara Benedettelli
@bbenedettelli
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
Ci sono reati che sono male in sé e non perché sono proibiti. E per chi li compie non deve esserci scappatoia.
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