Quella maledetta pena sospesa

immagine del fuoco, simbolo di distruzione

Un uomo condannato per maltrattamenti, ma mai entrato in carcere, uccide la figlia tra le fiamme. La pena sospesa è il simbolo di una giustizia che tutela il reo e dimentica chi non ha voce: le Vittime. È tempo di ridare valore alla vita umana e alla funzione autentica della pena.

Quando la giustizia rinuncia a proteggere la vita

Un anno di carcere per maltrattamenti. Pena sospesa. E durante quella sospensione – una condanna che esiste solo sulla carta – un uomo tiene tra le braccia sua figlia. Non per proteggerla. Per ucciderla. Le dà fuoco. La obbliga a morire. La stringe mentre le fiamme divorano il suo piccolo corpo, e insieme a quel corpo l’innocenza di una vita che avrebbe avuto diritto a molto più tempo, a molto più amore. Una crudeltà senza pari.

In questa storia, come in molte altre, c’è un’altra forma di crudeltà. Più lenta, più burocratica, più sottile, ma non meno letale. È la crudeltà di un sistema giudiziario che continua a puntare la luce sul reo, sulla sua presunta umanità, sulla sua libertà. Anche quando quella libertà non la merita. Anche quando quella libertà, proprio “quella”, può permettere a un innocente di morire in modo atroce.

Che senso ha una pena se può essere sospesa?

Dovremmo fermarci e porci una domanda semplice, ma radicale: che senso ha una condanna se la pena può essere sospesa? A che serve investire tempo, energie e risorse pubbliche in processi lunghi e dolorosi, se poi, pur di fronte a una colpevolezza conclamata, la punizione prevista dalla legge si dissolve?

Nel caso di Gianfranco Di Zio, condannato per maltrattamenti, la pena sospesa ha significato libertà. Una libertà che ha usato per spezzare la vita di sua figlia. Se quella pena fosse stata scontata in carcere, la bambina sarebbe ancora viva. Se in carcere avesse ricevuto un percorso serio, educativo, psicologico, forse oggi sarebbe un padre redento e sua figlia sarebbe salva. Invece, ha ucciso. Con piena libertà. Con la legittimazione silenziosa dello Stato.

La madre, impotente, ha assistito alle urla e alle fiamme. La bambina ha conosciuto un dolore fisico e psicologico che nessun essere umano dovrebbe provare, men che meno un figlio per mano di un padre. E noi? Noi ci limitiamo a dire che la giustizia ha fatto il suo corso?

Tommaso, e tutti gli altri

Non posso non tornare con la memoria a Tommaso Onofri, ucciso da chi, come Di Zio, non doveva essere in libertà. Come non posso non pensare a tutte le persone travolte e uccise sulle strade da chi aveva già colpito. A tutte le Vittime di delitti commessi da condannati a pene risibili o sospese. Quanti morti dobbiamo contare ancora prima di riconoscere che così il sistema non funziona?

E mentre il Presidente della Repubblica – figura che dovrebbe rappresentare tutti i cittadini – chiede attenzione per le carceri sovraffollate, dimentica chi, fuori da quelle carceri, vive nella paura. Dimentica le migliaia di persone la cui unica colpa è quella di credere ancora che lo Stato sappia difendere la libertà più importante: quella che non calpesta quella degli altri.

Una riforma vera: certezza, prontezza, proporzione

Se la pena fosse certa e immediata, specie nei casi in cui esiste un concreto pericolo per la vita o l’incolumità fisica degli altri, se fosse commisurata non solo al reato, ma alla sua gravità morale, se fosse sottratta alla spirale dei patteggiamenti, degli sconti automatici e delle sospensioni “tecniche”, alcune vite sarebbero salve.

E non parlo in astratto. Alcune vite lo sarebbero state. Senza “forse”.

Ma oggi, in Italia, la libertà è tutelata anche oltre il limite entro cui essa stessa non ha più senso: la vita. L’unico bene realmente non sostituibile. L’unico “sine qua non”. Eppure, è proprio la vita ciò che stiamo deprezzando, giorno dopo giorno, sentenza dopo sentenza, sconto dopo sconto.

Quando permettiamo che una pena si trasformi in carta straccia, e che il colpevole torni a essere padrone del proprio tempo prima ancora di aver pagato, stiamo dicendo che quella pena non ha valore. E se la pena non ha valore, neanche la vita lo ha più.

di Barbara Benedettelli — Sociologa, saggista, giornalista e Vicepresidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime. Autrice di numerosi libri e studi su crimine, giustizia, AI e relazioni umane.

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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è sociologa, saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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Chi è Barbara Benedettelli
Sociologa, giornalista e saggista. Autrice di inchieste su giustizia, vittime, violenza relazionale e intelligenza artificiale. Editorialista per Il Giornale e autrice di saggi come Dialogo con l’Umanità, Connessioni Pericolose e 50 Sfumature di Violenza.

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