Ogni giorno piangiamo Vittime del terrorismo e della strada. Ma cosa facciamo dopo? Questa è la vera strage: la sottovalutazione del pericolo, del rispetto, della vita altrui.
Una domenica che non è come le altre
Non è una domenica qualsiasi. Oggi è la Giornata mondiale in ricordo delle Vittime della strada. È il giorno in cui il mondo dovrebbe fermarsi per ricordare chi ha perso la vita in modo assurdo, violento, improvviso. Oggi, come se non bastasse, si chiude anche la conta dei morti e dei feriti degli attentati di Parigi. È una domenica triste. Una delle più tristi.
Triste per chi ha perso un amico, un figlio, un fratello sull’asfalto. Triste per tutti noi che, almeno per un momento, prendiamo coscienza che la morte può colpirci in qualsiasi momento. Per mano altrui. Per stupidità. Per odio. Per fretta.
Gli altri siamo noi
Questa consapevolezza, purtroppo, dura poco. Tra qualche giorno ricominceremo a correre come sempre. Forse diffideremo un po’ di più di chi è diverso da noi. Ma poi ci diremo:
“No, non è possibile. Lui no. E io neppure. Forse se la sono cercata…”
Perché alla fine, in fondo, pensiamo sempre che le tragedie accadano agli altri. Ma gli altri siamo noi. E il rischio più grande non è l’evento in sé, ma la rimozione collettiva.
Terrorismo e incidenti stradali: due volti della stessa sottovalutazione
C’è chi storce il naso quando accosto il terrorismo alla violenza stradale. Ma non si tratta di paragonare i fatti. Si tratta di leggere le analogie culturali che li sostengono: la sottovalutazione, l’indifferenza, l’inerzia dopo l’indignazione.
Ci indigniamo per un attentato, per un bambino ucciso da un’auto sulle strisce. Ma poi? Cosa facciamo davvero? Cosa abbiamo fatto dopo esserci detti Je suis Charlie? Cosa dopo la strage degli studenti cristiani in Kenya? O i massacri di Boko Haram in Nigeria? Niente. Perché pensiamo che non ci riguardi. Che siano tragedie lontane.
Anche la strada è un campo di battaglia
E quando un guidatore ubriaco investe una madre e suo figlio sulle strisce pedonali, gridiamo “alla forca”. Ma poi? Ci mettiamo al volante con più coscienza? Ricordiamo che la strada è un bene comune? No.
Eppure, su quelle strade muoiono ogni anno più di 1 milione e 200 mila persone nel mondo. Una strage silenziosa. Una guerra senza armi da fuoco, ma con effetti devastanti.
Un’arma bianca con le ruote
Ogni automobile è un’arma bianca. Non possiamo dimenticarlo. Ogni mezzo di trasporto può uccidere. Può distruggere interi mondi, perché ognuno di noi è un mondo.
Possiamo fare poco contro il terrorismo, se non agire a livello culturale e politico. Ma contro la strage delle strade possiamo fare molto. Possiamo scegliere. Possiamo cambiare comportamento. Possiamo educare.
Una cultura che sopprime l’altro
Oggi piangiamo le Vittime. Le Vittime di una cultura che non rispetta l’altro. Che lo vede come ostacolo, come nemico, come intralcio. Che si tratti di ideologia, di religione o semplicemente di fretta. La radice è sempre la stessa: l’incapacità di riconoscere nell’altro un valore inviolabile.
Un minuto di silenzio. E poi, il cambiamento
Mi unisco al minuto di silenzio osservato oggi anche dalla Formula 1. Ma quel minuto deve essere solo l’inizio. Un tempo per guardarci dentro e chiederci: “Io, cosa posso fare?” E dal minuto successivo, iniziare a farlo.


