I social e la solidarietà

solidarietà sul web

I social e la solidarietà: quando attraverso internet si può fare del bene.

I social non li ho conosciuti presto. Nel 2008, quando ho cominciato a gridare l’importanza per tutti quanti, Vittime e non, di tutelare la vita con forza e determinazione, mi sono trovata in una piazza per chiedere giustizia insieme a mamme, papà, fratelli di giovani donne uccise.

Mi aveva invitata a partecipare Livio Moiana (cugino di Tamara Monti uccisa a Riccione da un vicino di casa) che avevo intervistato per il mio libroI delitti del condominio. Mi aspettavo di trovare un sacco di gente, perché il tema era, almeno per me, importante: la certezza della pena.

Invece eravamo una dozzina, poco più. Di cui davvero pochi coloro che erano lì senza avere subito una grave perdita.

Quel giorno, in quella piazzetta davanti a San Vittore, con quelle mamme coraggiose come Paola Caio, Maria Teresa D’Abdon e tante altre, davanti ai loro occhi intrisi di lacrime e alla loro disperata richiesta di una giustizia capace di essere davvero giusta, ho giurato che avrei fatto l’impossibile per far sì che a manifestazioni come quella non ci fosse mai più così poca gente.

Che avrei fatto di tutto per portare lontano la loro voce e per riempire una piazza che deve affermare il valore incommensurabile della vita e il diritto alla giustizia. Perché una piazza piena vuol dire partecipazione, vuol dire solidarietà, vuol dire consapevolezza che la vita va difesa prima che ci possa essere portata via dal delinquente di turno, libero grazie all’incapacità dello Stato di proteggere i suoi cittadini innocenti.

Per anni sono stati fatti tentativi di far crescere “queste” piazze. Difficilissimo. Mai più di venti, trenta persone. E’ come se la gente sentisse la necessità di tutelare la vita come una questione superflua. Circa due anni dopo quella manifestazione e dopo la pubblicazione di Vittime per Sempre, ho scoperto Facebook.

Ho scoperto che grazie a questo social network, a questa mega piazza virtuale, le persone possono conoscersi, fare battaglie di civiltà, fare sentire la loro voce e portare lontano i loro messaggi, le loro parole, le loro storie. Una prerogativa che fino a prima che Zukenbergh lo inventasse era solo di coloro che avevano accesso ai media.

Prima, solo chi poteva andare in televisione, in radio o lavorava per un giornale poteva dire la sua a più persone. Non c’era contradditorio però, comunione. Loro parlavano e la gente ascoltava o guarda o leggeva, ma non poteva ribattere. Era una comunicazione a senso unico.

Oggi non è più così. Chiunque può dire la sua accendendo il pc. E ho scoperto che grazie a questo mezzo straordinario la solidarietà, dunque l’amore, può correre più veloce. Così com’è più facile sentirsi vicini, parte di un qualcosa che è più grande di noi.

Ed è stato allora che ho creato un gruppo chiuso su Faceboock intitolato “Giustizia e Diritti per le Vittime dei reati contro la vita”, che a oggi conta circa cinquecento persone, per lo più Vittime della violenza comune o familiari di Vittime di omicidio stradale.

Persone che solo un attimo prima di diventare Vittime, a causa di una scelta altrui, vivevano il nostro stesso quotidiano, la nostra stessa “normalità”. Persone che dopo avere subito i peggiori reati si sono trovate abbandonate dalla società e dal sistema giudiziario, più propensi a tutelare chi le ha costrette a un’esistenza dimezzata.

Grazie a quel gruppo molti di loro hanno potuto condividere il male dell’anima, l’amputazione esistenziale, le immagini e i racconti di un passato che non vogliono fare sbiadire e che consente in qualche modo ai loro cari perduti di continuare a sorridere agli altri da questo schermo, che paradossalmente riscalda chi nell’anima ha il gelo.

In tanti si sono incontrati, hanno fatto battaglie comuni.

Si sono sostenuti davanti ai tribunali durante le estenuanti battaglie giudiziarie, dove la giustizia è un sogno che non sempre si avvera, un’illusione. E il bene vita è svilito, violentato, scontato, trattato con un disprezzo che nessuno deve poter accettare, ma che invece accettiamo se ignoriamo questa realtà.

A partire da quel gruppo virtuale, grazie alla forza di Croce Castiglia ed Elisabetta Cipollone e di tanti altri meravigliosi genitori nel dolore, e di persone che pur non avendo subito nessuna perdita sono loro vicine, siamo riusciti finalmente a riempire una piazza e a farci sentire nelle aule imponenti del Parlamento.

Era il 25 aprile del 2012 quando ci siamo riuniti in Piazza Cavour a Roma, di fronte alla Corte Suprema di Cassazione. Eravamo oltre trecento tra familiari di Vittime, sindacati di polizia e qualche cittadino comune. Per quel giorno Croce aveva organizzato attraverso il social networck una visita dal Papa per i familiari delle Vittime, da lì si sono spostati alla manifestazione.

Chiedevamo di liberarci dall’ingiustizia. Quale richiesta migliore nel giorno della liberazione?

A poche centinaia di metri di distanza si svolgeva la “marcia per la Giustizia e la Libertà” dei Radicali, con Pannella in prima fila. Ovviamente eravamo contrari alle loro richieste d’indulto e amnistia, che non solo non risolvono l’annoso problema del sovraffollamento carcerario, ma sono una pugnalata al cuore per tutte le Vittime dei reati.

Non si può proclamare giustizia e libertà per chi, attraverso un atto di ingiustizia e libertà ha negato quella altrui. Ma non è questa la sede per affrontare un argomento che ho invece ampiamente trattato in Vittime per Sempre.

A unire tutte quelle persone quel giorno è stata la forza di internet ed è stato bellissimo incontrarsi e guardare negli occhi “le menti” con cui dialogavamo attraverso il pc. Ci siamo abbracciati, abbiamo pianto insieme e riso anche. Perché loro sono ancora capaci di sorridere, se pur per pochi istanti, grazie all’incontro disinteressato dell’Altro.

Li ho ascoltati e in loro ho visto me. Ho sentito me. Perché loro sono me.

L’amore che sento, che provo, che scelgo di riversare sugli altri è passato attraverso la rete e dalla rete è sceso nella realtà e poi è ritornato dov’era partito, in un vortice continuo di bene. Nella rete, nella Community, il pensiero si fa forma. Sostanza. Non è più impenetrabile. Confluisce in una sovra-realtà che arriva agli Altri, spesso senza filtri.

Ed è proprio qui, forse, il pericolo di questo mezzo, perché la mancanza di filtri, di regole, di leggi simili a quelle che governano la realtà oggettiva, può fare male. Qui puoi rigettare tutto il tuo odio, la meschinità, puoi dare forma all’invidia e alle più inette bassezze umane, il peggio che c’è in te.

E puoi farlo nel più completo anonimato grazie alla possibilità di “nascere” con un nome che non è il tuo. Una maschera “social” che a differenza della maschera sociale è più difficile da riconoscere.

Nella realtà virtuale le persone possono anche sollevarsi dal sottile senso di colpa che avvertono di fronte alla loro immobilità rispetto al contrasto del male che impera nel mondo. Attraverso internet molti s’illudono di cambiare il mondo con un “mi piace” su un post di denuncia sociale o un “partecipo” solo virtuale a un evento che annuncia una protesta di piazza o un convegno. Scrivono “ci sono col cuore” e via. La coscienza è salva.

Poi, tra di loro, c’è qualcuno che critica chi in piazza c’è andato davvero con tutto se stesso: corpo, anima, speranze, paure e la ferma volontà di essere agente del cambiamento. Si arrabbiano perché in quella piazza c’era poca gente e dicono che il motivo per cui non si sono presentati era proprio perché sapevano che non ne valeva la pena. E ti credo che c’era poca gente, se tutti ragionano così, se ci sono solo col “cuore”!?

Ma a parte le eccezioni, che non confermano la regola, come sostiene Anna Cossetta ne Il dono ai tempi di internet, “il web, attraverso la reciprocità dello scambio, crea relazioni, comunità, gruppi, persino tribù. Spazi aperti, che fanno da ponte verso altri mondi e luoghi e spazi, invece, più chiusi in cui ci si identifica fortemente e che possono fornire un connotato preciso dell’esistenza.

Perché attraverso il web i legami possono sorgere, rafforzarsi, contribuire decisamente alla costruzione di quel processo identitario che tutta la vita continuiamo a costruire.

Ma perché ciò avvenga, dobbiamo essere qui quello che siamo davvero nel mondo reale, tenendo sempre conto che dall’altra parte dello schermo, dietro le faccine e i “mi piace”, ci sono delle persone vere che come noi sentono, soffrono, vivono, amano oppure odiano. Che spesso hanno vissuti difficili. Ci si può fare male.

Internet è uno strumento potente attraverso il quale possiamo “incontrare” chi ha i nostri stessi interessi, con le quali possiamo anche scontrarci, quando serve, ma sempre per crescere. Con le quali possiamo lottare per cause civili o per denunciare quello che non possiamo accettare.

Grazie alla rete, per esempio, Le Associazioni di Vittime della strada Lorenzo Guarnieri e Gabriele Borgogni, insieme all’ASAPS hanno raccolto decine di migliaia di firme a favore dell’introduzione del reato di omicidio stradale riuscendo a coinvolgere l’attuale premier Matteo Renzi.

Internet è dunque uno strumento che se ben utilizzato può modificare la realtà oggettiva. Uno strumento, però, che può essere anche vettore di violenza e di morte.

Attraverso la rete si organizzano gli eserciti e le guerre sante; si reclutano i soldati; si possono indurre le persone fragili al suicidio; si possono acquistare droghe distruttive come quella del cannibale, per esempio, che ti porta a mangiare parti del tuo corpo. I pedofili possono attrarre i ragazzini ignari che dietro il profilo di un coetaneo si nasconde uno di loro. E in questo, noi genitori, dobbiamo essere attenti.

Non lasciamo mai i nostri figli soli di fronte al mondo, anche se virtuale. Apriamo la porta chiusa della loro stanza, avviciniamoli, guardiamoli negli occhi per cercare i luoghi del loro universo interiore in cui si nascondono le emozioni: disagio, solitudine, serenità, rabbia, frustrazione, orgoglio, gioia di vivere o voglia di scomparire, amore e odio.

E’ nella pupilla che l’anima dell’uomo si riflette per mostrarsi a chi lo ama, non nelle parole che non mantengono lo sguardo. Ecco perché, dopo l’incontro virtuale, è necessario scendere nel reale, dove la parola scritta diventa voce che vibra e una fotografia un volto vivo, in cui rispecchiarsi per davvero.

Tratto da “L’amore ci salva, storie di sopravvissuti alla vita” di Barbara Benedettelli ( Imprimatur 2014)

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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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