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L’ex pm Gherardo Colombo nel 2019 su Il Corriere della Sera, ha fatto un appello per abolire l’ergastolo ostativo. Ovvero quell’ergastolo che si applica a mafiosi, sequestratori, trafficanti di droga e terroristi, che possono avere benefici solo se collaborano con la giustizia.
Come Veronesi prima di lui, Colombo sostanzialmente afferma che dopo venti, trent’anni, una persona è cambiata e in virtù dell’articolo 27 della Costituzione secondo cui “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”, deve poter essere valutata da un giudice per ottenere la libertà condizionale.
Ma se realizzi il male nel mondo, per dirla con Ennio Flaiano:
“Sei condannato alla pena di vivere. Domanda di grazia respinta.”
Oggi il tema dell’ergastolo ostativo è al centro dell’attenzione non solo italiana, ma europea. La Corte CEDU (Corte europea dei diritti dell’uomo), afferma che “una persona condannata all’ergastolo senza alcuna prospettiva di liberazione, né possibilità di far riesaminare la sua pena perpetua rischia di non potersi mai riscattare”, e chiede agli Stati membri un ridimensionamento della misura in oggetto. In sostanza la pena dovrebbe essere revisionata trascorso un certo periodo di tempo.
In realtà in Italia l’ergastolo ostativo (che ha contribuito a limitare notevolmente in particolare il fenomeno mafioso) prevede che se si collabora utilmente con la giustizia, trascorsi ventisei anni di carcere sono possibili provvedimenti di liberazione anticipata.
Meglio reinserire in società una persona che si rende collaborativa nella battaglia contro i gravi reati di cui è accusata e la criminalità organizzata, oppure una persona che non ha alcuna intenzione di collaborare e ha magari mantenuto un ruolo di rilievo “nel settore di competenza” tra cui anche l’omicidio? Anzi, più spesso il pluriomicidio! Per rispondere anche all’assunto dell’articolo 27 della Costituzione secondo il quale si deve tendere alla rieducazione, cos’è più educativo tra le due possibilità sopra citate?
Un’ideologia risocializzativa indiscriminata rischia di far cadere il principio di pericolosità sociale: e se non c’è coscienza della pericolosità, non c’è controllo e senza controllo la civiltà muore.
Ora, l’ergastolo ostativo, che ha permesso al nostro paese di arginare fenomeni criminali di grande allarme sociale, rischia di essere abolito per interferenza della Corte europea di Strasburgo, secondo la quale violerebbe l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che vieta “trattamenti inumani e degradanti”.
Ma prima dell’articolo 3 viene l’articolo 2, quello sul Diritto alla vita, dal quale si evince che uno Stato può applicare misure drastiche “per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale”.
Allora, da intellettuali, politici, scienziati ed ex magistrati, ci si aspetta che si parli di responsabilità personale, ben chiara proprio nel primo comma proprio dell’articolo 27 della Costituzione, che nessuno cita mai.
Come si legge nella sentenza della corte costituzionale n°12 del 1966 in riferimento al suddetto articolo,
“…la vera portata del principio rieducativo deve agire in concorso delle altre misure della pena e non può essere inteso in senso esclusivo e assoluto… E ciò, evidentemente, in considerazione delle altre funzioni della pena che, al di là della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell’ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui dipende l’esistenza stessa della vita sociale”.
Ovvero, prevenzione e retribuzione.
Una via d’uscita all’ergastolo ostativo che risponde a tutto questo c’è: collaborare con la giustizia per permetterle di smantellare le organizzazioni criminali che attentano alla sicurezza, alla salute e alla vita dei cittadini.
Ai ladri di esistenze va impedito di continuare a rubare vite. Così come va impedito di credersi vittime sfuggendo all’enormità delle loro colpe.
Invece c’è chi dalla cella nella quale non è finito per caso, afferma che il carcere ostativo “è la morte che ti leva la vita”, che “applicare la pena dell’ergastolo è il più grande male che un uomo possa commettere nei confronti di un altro uomo”.
Ma la morte che ti leva davvero la vita è quella che le persone le mette sotto terra. E l’unico ergastolo senza grazia è quello ingiusto e innaturale del dolore, al quale sono stati condannati i familiari delle troppe Vittime dei reati violenti, anche di mafia! E’ questo il solo ergastolo che si deve non attenuare, ma abolire.
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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