Emanuela Orlandi, parla il fratello Pietro

Emanuela Orlandi, suo fratello chiede di riaprire le indagini. Roma, 22 giungo 1983. Una quindicenne di nome Emanuela Orlandi, in una zona centrale della Capitale, viene inghiottita in un mistero profondo come l’angoscia. Un’angoscia che non ha mai lasciato i suoi familiari i quali, ancora oggi, chiedono verità e giustizia. A farlo è Pietro, suo fratello.

Mi sono sempre chiesto perché Giovanni Paolo II il 3 luglio, all’Angelus, parlando di Emanuela ha chiamato in causa “chi ha la responsabilità in questo caso”. Erano passati pochi giorni dalla scomparsa e ancora niente faceva pensare al rapimento. Perché parlare di responsabili? Lui il 22 giugno era in Polonia, perché avvisarlo subito della sparizione di una ragazzina che poteva essersi allontanata volontariamente? Era cittadina vaticana, ma come pensava anche la polizia alla quale ci siamo rivolti verso le 21,00, poteva essere stata una ragazzata, un ritardo. Per questo ci hanno detto di formalizzare la denuncia la mattina dopo.

In realtà, e lo scopriamo solo a 35 anni di distanza e non per loro ammissione, a circa due ore dalla scomparsa in Vaticano è arrivata una telefonata che annunciava il rapimento. Perché non lo hanno mai detto? E’ uno dei quesiti ai quali chiediamo risposta, con la denuncia presentata a novembre scorso alla Santa Sede insieme al nostro avvocato Laura Sgrò.”

Se lo avessero detto sarebbe cambiato qualcosa nella sorte di Emanuela?

Forse. Credo si sia perso tempo prezioso. La telefonata è arrivata al centralino e chi ha risposto l’ha passata alla Sala Stampa. Possono aver pensato a uno scherzo, ma noi quella notte eravamo allarmati, c’era un gran via vai di amici e parenti all’interno delle mura vaticane e non è normale. Ovvio che qualcosa era accaduto. Perché non avvisare la famiglia e la polizia?

La chiamata non può non averli allarmati, due anni prima c’era stato l’attentato al Papa, c’era la Guerra Fredda, quel giorno Giovanni Paolo II era in Polonia dove era centrale per i cambiamenti radicali di quel paese. Possibile che il vaticano abbia attivato subito i suoi servizi segreti? Circa due giorni dopo la scomparsa venne da voi Giulio Gangi, un agente del Sisde, era un amico di famiglia è vero, ma non è strano che avesse visto in ufficio una informativa sulla scomparsa? Chi l’aveva inviata?

All’epoca circolava voce di una riunione fatta in Vaticano a poche ore dalla sparizione, ma è sempre stata smentita e mi chiedo ancora perché. Un dossier su mia sorella sono certo che in Santa Sede esista, me lo ha detto Paolo Gabriele, il “corvo” di Vatileaks. Lo ha visto sul tavolo di Monsignor Georg, segretario personale di Papa Ratzinger: “Rapporto Emanuela Orlandi”.

Perché quel dossier era su quella scrivania secondo te?

Credo che il fatto più grave accaduto in questi 35 anni sia avvenuto nel 2012. Ci sono stati una serie di incontri informali in Vaticano tra Giancarlo Capaldo, il magistrato che si occupava dell’inchiesta, e un rappresentante della santa Sede di cui ancora non so il nome. L’oggetto sarebbe stato uno scambio di favori: il Vaticano chiedeva che fosse la procura a trasferire De Pedis (il capo della Banda della Magliana sepolto lì tra mille polemiche) da S. Apollinare, perché per loro la questione era imbarazzante; e chiedeva di aiutarli a trovare una soluzione per chiudere la questione Orlandi con una verità di comodo.

Erano disposti a dare a Capaldo il fascicolo – presumibilmente quello sul tavolo di padre Gerog – dove c’erano i nomi di personalità che avevano avuto un ruolo nella vicenda e le loro responsabilità. Però il prelato disse che oltre a quello non sarebbe potuto mai uscire, facendo capire che c’era altro di cui erano a conoscenza. Con quei nomi il magistrato doveva trovare una soluzione per chiudere la storia. Capaldo in cambio chiedeva che alla famiglia fosse detto se Emanuela era viva o morta, per avere, nel secondo caso, degna sepoltura. La cosa assurda è che l’alto prelato non ha detto: ma stiamo scherzando, che domanda mi fa? Mi chiede il corpo? Come facciamo a saperlo? Ha risposto ‘va bene’, devo parlare con un superiore…

Poi cosa successe?

Non si fecero più sentire. Capaldo allora mandò un messaggio a mezzo stampa in cui sosteneva che ci sono personalità in Vaticano a conoscenza della verità e che per quanto riguarda l’apertura della tomba di De Pedis non era necessaria. Era un modo per dire: voi mi avete chiesto delle cose, però anche io le ho chieste. A questo punto entra in scena il nuovo capo della procura di Roma, che pubblicamente si distanzia dalle dichiarazioni di Capaldo dicendo che quelle parole non uscivano dagli uffici della procura, poi ha aggiunto che la tomba sarebbe stata aperta. Lo stesso giorno ha preso in mano l’inchiesta Orlandi, per portarla a chiusura.

Archiviata nel 2016 anche dalla Cassazione. E voi avete fatto denuncia di scomparsa in Vaticano, da novembre nessuna notizia?

No. Prima della denuncia sono andato a parlare con il segretario di Stato Parolin, al quale ho chiesto anche di poter parlare con Papa Francesco che nel 2013, a pochi giorni dall’elezione, mi disse che mia sorella è in cielo. E se me lo dice un Papa a inchiesta aperta e senza una prova, io penso che lui sappia qualcosa. Se è in cielo i suoi resti sono in terra da qualche parte e voglio sapere dove.

Ma non mi riceve, c’è un muro altissimo. Sono andato due volte da Parolin, ho insistito: “me lo faccia incontrare, vorrei spiegargli il mio punto di vista”. Ha fatto un sorriso e ha detto: “Scordatelo. Lascia perdere.” Ha detto che il Papa su questa vicenda ha una chiusura totale. Perché? Potrebbe dirmi: “guarda, io vi sono vicino, so che è in cielo ma non so altro.” Perché non incontrarmi?

Tu pensi che sia per non dover mentire?

Guarda, mi dispiace dirlo, ma io credo che a permettere al silenzio e all’omertà di calare su questa storia sia stato Papa Wojtyla e che tutti e tre i Papi sappiano la verità. La storia del terrorismo internazionale, dello scambio con Alì Agca, potrebbe essere stato un modo di spostare l’attenzione da una verità che farebbe troppo male all’immagine della Chiesa.

Le ipotesi sono due: quella economica, che ha diversi riscontri e che vede coinvolti la Banda della Magliana, la mafia, Monsignor Marcinkus e lo Ior, dove i soldi della mafia venivano depositati. Pista che è anche politica, perché quei soldi venivano usati da quel papato per la Polonia.

Possibile che Wojtyla non sapesse da dove arrivavano?; poi c’è la pista di Boston, inquietante, anche questa con dei riscontri, che riguarda la pedofilia ecclesiastica a livelli altissimi e metterebbe in relazione anche la sparizione di Mirella Gregori. Di certo, come ho detto anche a Parolin, il comportamento sulla vicenda tenuto negli anni dalla chiesa – e il mio mancato incontro con un Papa rivoluzionario come Francesco -, non fa altro che aumentare i dubbi nei confronti della chiesa stessa. È molto meglio una bruttissima verità che rimanere nel silenzio che alimenta il sospetto delle cose peggiori.

Secondo te Emanuela è viva o morta?

Finché non ho la prova della morte per me è un dovere cercarla viva. Io devo avere una prova che lei non c’è più. Sto andando avanti come se fossi con il freno a mano tirato e vivo il tempo come se fosse un gomitolo dove passato e presente sono insieme. Sulla sparizione di mia sorella è stato detto di tutto e di più, e ogni verità non è mai convincente, ma non può neanche essere scartata al 100%. Adesso noi familiari abbiamo bisogno dell’unica verità, per quanto amara, che possa sciogliere quel gomitolo e permetterci di andare avanti.

di Barbara Benedettelli (pubblicato sul settimanale Spy)

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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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