Ogni giorno, ogni istante in cui viviamo dobbiamo prendere piccole e grandi decisioni che mutano in continuazione le nostre prospettive. Aut-aut, diceva il
E’ necessaria una breve premessa: il matrimonio non è – come spesso si suol dire – la tomba dell’amore dove riposano in pace sogni, desideri e progetti. E’ l’inizio di un percorso che non ci vede più soli ad affrontare l’esistenza.
Ma è anche un’istituzione dello Stato e della Chiesa, per mezzo della quale due persone sono riconosciute come coppia e come famiglia con diritti (tra i quali quello di divorziare) e doveri (tra cui quello di aiutare l’altro a crescere e a superare le difficoltà rispettando la sua personalità).
E quando abbiamo fatto di tutto per non mandarlo in pezzi senza riuscirci; quando abbiamo deciso di mettere un punto e andare a capo, ecco che subentra il senso di colpa. E’ successo anche a me.
Proviamo senso di colpa verso chi lasciamo, verso i figli se ci sono e verso l’istituzione stessa.
Se stare insieme è diventato intollerabile, separarsi è la scelta più dolorosa, ma anche la più giusta. Per tutti.
Soprattutto in chi lo chiede o intende farlo, il divorzio può provocare questa condizione di intensa sofferenza, capace di bloccare totalmente. Di paralizzare.
Il senso di colpa è un sentimento che nasce in contrasto alla morale interiore: quando le nostre azioni o i nostri desideri entrano in conflitto con i codici sociali e culturali non è raro punirsi attraverso questo sentimento.
Ci si tormenta con pensieri terribili, in cui sembra di assumere le sembianze di un mostro cinico e spietato che infligge torture a chi gli capiti a tiro. Non si riesce a godere delle gioie che il cambiamento può offrire perché si è portati a pensare che la propria soddisfazione significhi la sofferenza di qualcun altro.
Spesso è il coniuge che subisce a usare consapevolmente o no a provocare questo sentimento con lo scopo conscio o inconscio di manipolare, o di far desistere: attraverso il senso di colpa ci si potrebbe sentire terribilmente in errore.
Ma attenzione.
Da un altro punto di vista il senso di colpa è un alibi, un motivo per non agire, per lasciare tutto così com’è. Anche se la condizione permanente dell’unione è l’infelicità.
E’ sicuramente più facile, anche se frustrante, rimanere immobilizzati aspettando che la situazione si risolva da sé.
Intanto la vita scorre. Ma puoi sempre dire di essere una persona buona, capace di sacrificarti. Così però permetti a qualcun altro di scegliere per te, che ti senti in gabbia e alla fine la vita diventa, per tutti, uno stato comatoso o un inferno.
Il senso di colpa ci viene insegnato dalla cultura in cui viviamo: scuola, religione e istituzioni lo usano come mezzo di controllo.
Ci si può sentire in colpa per qualsiasi cosa: per non aver lasciato il posto a sedere sul tram a una signora anziana, anche se siamo appena stati operati al menisco; per non aver dato la mancia a un cameriere, anche se il conto al ristorante è stato salato e così via.
Basta l’occhiata di disapprovazione di un estraneo qualsiasi per sentirci terribilmente in difetto.
E così ci comportiamo come vogliono gli altri, con la conseguenza che alla fine ci sentiamo in colpa verso noi stessi. E generiamo potenti e incontrollabili reazioni a catena altamente frustranti e autodistruttive.
Tornando alla decisione di chiudere una relazione, a volte chi vive la separazione come una sconfitta personale non riesce ad accettarla. E fa di tutto per mantenere in vita una storia conclusa, senza futuro, non perché ama davvero. Ma per non vivere il senso di fallimento.
Però in questo modo impedisce un nuovo inizio non solo al partner, ma anche a se stesso, rimanendo intrappolato in un passato dal quale non riesce a cogliere nessun tipo d’insegnamento.
Pur riconoscendo nel proprio intimo la mancata attenzione ai bisogni, ai mutamenti e alle insoddisfazioni dell’altro, c’è chi continua ad atteggiarsi a vittima, non solo davanti agli occhi del mondo, ma soprattutto di fronte al coniuge. Che si sente in colpa…
E allora molti restano in una relazione spenta.
S’instaura così un circolo vizioso di dolore, in cui anche provando a tornare sui propri passi non ci sarebbe più felicità, perché tornare indietro sarebbe stato il frutto di un’imposizione e non una scelta personale e convinta.
Il/la partner soffre per la decisione dell’altro di lasciarlo e soffre platealmente. E così, sentendosi responsabili di quel dolore così evidente, si assecondano le sue richieste.
Il/la partner coltivando l’illusione di farvi ricapitolare, da una parte otterrà il vostro malessere, v’impedirà di portare avanti il cambiamento e d’usufruire dei benefici ottenuti; dall’altra ostacolerà se stesso nell’accettare la sconfitta e nel mettersi in discussione nel tentativo di prendere nelle proprie mani la propria vita, rimettendola sulla giusta carreggiata.
Vi controlla, vi limita e chiede l’impossibile. Il matrimonio diventa un inferno (come ben spiego in 50 Sfumature di Violenza). E a volte una tragedia. Non sarà più uno solo della coppia a soffrire e a dover trovare il modo di guarire. Sarete in due e anche di più se avete figli, e il dolore sarà così grande da non prevedere antidoto.
Il senso di colpa s’ingigantisce, i ruoli si capovolgono e a vincere è la rabbia. Troppe volte cieca. Ecco che chi è costretto a restare a causa del senso di colpa si arrabbia col mondo, tratta male chi gli sta intorno. Tutto perché non ha tenuto fede alla sua decisione.
E’ ammirevole chi pensa agli altri prima che a se stesso, ma una scelta del genere non può originarsi dal senso di colpa. Che deve essere vinto.
L’altruismo forzato, nella maggioranza dei casi, genera frustrazione: percepiamo gli altri come nemici o semplicemente come pesi dai quali non riusciamo a liberarci, anziché considerarli una sorta di prolungamento di noi stessi cui ci rivolgiamo con un autentico e appagante desiderio di solidarietà.
Non ci si alza al mattino pensando: “Che faccio oggi? Beh, mi separo!” Sicuramente il processo che ha portato a questa decisione è stato lungo e sofferto.
Quando ci si sente in colpa per aver preso la decisione di andarsene, invece di rimuginare sulla colpa e sulla sofferenza inflitta all’altro occorre chiedersi se la decisione presa è giusta per noi.
Se lui o lei non soffrisse, saresti felice di vivere la tua nuova vita? Nonostante l’incertezza che provi, sei certo/a che per te sia stata la soluzione migliore? Non pensare alle paure, alle angosce del domani, concentrati piuttosto sul momento presente. Immagina che lui/lei stia bene, come ti senti?
Se ti senti male allora forse non è la decisione giusta. Forse avete solo bisogno di ritrovarvi e un terapista di coppia vi può aiutare. Se invece sei in armonia con te stesso/a, è la decisione giusta. Se lo è per te lo sarà anche per lui/lei, anche se ora non ne è cosciente.
Entrambi meritate amore. Se non può più essere tra di voi sarà altrove.
Ma mi raccomando, non commettete gli stessi errori che vi hanno portato a chiudere una relazione nella quale avevate creduto! Ammesso che ci sia stato un momento in cui ci avete creduto davvero.
Ricordatevi: perché la coppia duri bisogna scegliersi ogni giorno tenendo conto del fatto che nulla è statico. Tutto è mutevole. Lo siamo noi, lo è chi ci cammina al fianco. Lo sono le circostanze della vita.
Se guardiamo il partner con gli stessi occhi di ieri non lo vediamo. Se restiamo ancorati a un ideale ci rimane un pugno di mosche in mano. Se chiediamo solo, senza dare mai, ci aspetterà sempre il vuoto. E quel senso di colpa he ci divora.
Barbara Benedettelli
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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