Ci sono reati che sono male in sé e non perché sono proibiti. E per chi li compie non deve esserci scappatoia.
Chiara è stata massacrata (letteralmente) dal suo fidanzato Maurizio Falcioni. Aveva 19 anni nel 2013. Le ci sono voluti mesi per uscire dallo stato di coma. Ora muove solo due dita per comunicare, per il resto è immobile. Lui in primo grado è stato condannato a 20 anni di reclusione ( che nei fatti sono già molti meno dal momento che esistono gli sconti automatici e il rito abbreviato di cui Falcioni si è naturalmente avvalso). Oggi la prima corte di Appello ha ridotto quella pena di 4 anni.
Ecco a che cosa serve l’Appello. A ridurre le condanne e a rendere sempre più squilibrato il rapporto tra entità del reato ed entità della pena.
Nel tempo si è parlato, e si è anche agito in modo lineare e anche questo squilibrato, di tagli al sistema giustizia. Beh! Se fossi Ministro della Giustizia partirei proprio da qui. Dall’eliminazione dei troppi gradi di giudizio almeno quando ci troviamo di fronte a flagranza di reato o dove sussiste la famosa (e sempre più rara grazie all’IPER-garantismo) prova regina.
Un provvedimento tutto sommato semplice, che renderebbe un po’ più di giustizia alle Vittime e alleggerirebbe non di poco il farraginoso sistema giudiziario. E ci avvicinerebbe al resto d’Europa e del mondo, dove i gradi di giudizio sono molti meno.
Solo raramente in appello la condanna si risolverà con un verdetto d’innocenza eppure, in Italia, vi ricorre 70% degli imputati condannati in primo grado. Quando a ricorrere è solo l’imputato (e non il pm) la legge vieta la cosiddetta reformatio in peius, che è il divieto di comminare una pena o una misura peggiore della precedente. Dal momento che solo raramente si arriva a un ribaltamento della sentenza di primo grado che decreta l’innocenza dell’imputato, nella stragrande maggioranza dei casi si arriva a una sentenza “attenuata”, motivo principe per cui si ricorre.
L’altro motivo è dovuto alla lentezza del sistema giudiziario, che lascia aperta la possibilità concreta di arrivare alla prescrizione (e sia chiaro, prescrizione non è sinonimo di innocenza).
Per evitare che ciò accada, e per non trovarci di fronte a casi come quello di Chiara, occorre eliminare o rendere più difficile il ricorso in appello, come avviene in altri paesi non solo europei. I tre gradi di giudizio sono infatti una prerogativa italiana. L’appello altrove è assente o diversamente regolato. Di certo è molto più difficile accedervi in Francia e Spagna, mentre in Inghilterra se a ricorrere è solo l’imputato, c’è la concreta possibilità di un aggravio di pena anche notevole. Ecco perché vi ricorre solo il 10% degli imputati contro il nostro 70.
In particolar modo l’impossibilità di ricorrere in appello – così come per esempio l’impossibilità di ricorrere al rito abbreviato – dovrebbe avvenire quando ci troviamo di fronte ai reati contro la persona, in quanto il bene da tutelare – la vita umana e la salute – è di rango superiore rispetto a qualsiasi altro bene, compreso il bene libertà. E se proprio non lo vogliamo eliminare, almeno rendiamolo più difficile, per esempio eliminiamo la “reformatio in peius”.
Le Vittime non hanno Appelli, grazie, sconti. Loro hanno pagato e continuano a pagare per sempre ciò che altri hanno commesso. Non chiamiamo giustizia quella che pensa solo al futuro del reo e dimentica invece il presente e il futuro delle sue Vittime.
Barbara Benedettelli
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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