Ci sono reati che sono male in sé e non perché sono proibiti. E per chi li compie non deve esserci scappatoia.
Prima un uomo si aggira per la città in cerca di persone sulle quali sfogare la propria violenza, le proprie frustrazioni. Poi un altro che si sente offeso estrae una pistola e spara al datore di lavoro e a suo figlio di soli 22 anni. Ed ecco che il sistema si mette in moto per capire quale sia il movente, perché sarà quel movente a determinare l’entità della condanna alla quale, tra l’altro, non corrisponderà mai una pena effettivamente scontata. E mai giusta, perché non è il movente che la deve determinare, ma l’atto e il suo risultato: la condanna a morte arbitraria di uno sull’altro. E quella che non avrà sconti, né premi, né grazie: la condanna ostativa al dolore di chi resta.
E non è solo Milano. Perché c’è Preiti a Roma, definito come vittima perfino dalla terza carica dello Stato. E poi c’è l’uomo che a Palermo, nel silenzio quasi totale dei media e della politica, ha massacrato a martellate in testa due anziani che aspettavano il treno.
Oggi un uomo ha potuto estrarre una pistola in un bar per uccidere due persone. Ha ucciso in un bar il suo datore di lavoro e il figlio. Ha sparato 10 colpi di pistola.
Picconate, martellate, spari. L’escalation di violenza di questi giorni deve farci riflettere. Uomini e donne che vengono uccisi per i più diversi motivi. Sempre futili. Perché non può che essere futile il motivo che porta a sopprimere le vite altrui. Non c’è e non ci deve essere mai una giustificazione. Un motivo “valido” per ammazzare. E’ l’atto che deve essere giudicato e quello che produce: devastazione. Distruzione di più vite. Quelle soppresse e quelle di chi resta con un dolore che, quello sì, è per sempre.
E’ ora di rendere le pene per omicidio severe e dure come dura è la morte provocata. Nessuno, al di là del movente, sconti pene inferiori ai 21 anni effettivamente passati in carcere per ogni vita che sopprime. Siano eliminati gli sconti automatici. E quando c’è flagranza di reato bastino due gradi di giudizio. Si risparmierebbe denaro, si alleggerirebbe il sistema giudiziario e si renderebbe la pena più equa perché l’appello in questi casi serve solo a diminuirle le pene che sono già squilibrate rispetto al bene sottratto, per il quale l’unica pena davvero equa sarebbe un vero ergastolo. Dobbiamo smettere di deprezzare la vita umana. Chi compie un omicidio al di là delle attenuanti deve sapere che 21 anni certi di carcere non glieli leva nessuno. E si rimetta mano anche alla legge sul porto d’armi. Sia reso molto difficile il possesso di pistole e fucili.
Le persone uccidono e si parla subito di raptus, di disagio, si cerca un perché al quale non si può dare risposta se si nega che dentro di noi risiede anche il male. Che la cattiveria esiste. E che mai, per nessun motivo va giustificata. Ieri nell’aula di Montecitorio è accaduta una cosa che ritengo grave.
Un deputato della Repubblica, l’Onorevole Gigli – che tra l’altro ha confuso l’età di una delle tre vittime con quella dell’assassino usandola come attenuante per la sua condotta – ha in qualche modo giustificato Madu Kabobo tentando di addossare la colpa del suo atto al sistema intollerante verso chi viene da fuori.
E non lo ha fatto ammettendo che in questo sistema ci sono dei buchi e che se la legge sulle espulsioni fosse applicata sempre e subisse qualche correzione a garanzia della sicurezza degli italiani forse oggi tre persone innocenti sarebbero ancora vive.
Lo ha fatto dicendo nella sostanza che se noi avessimo accudito Kabobo come si fa con un bambino forse non avrebbe ucciso. Ma l’assassino di anni non ne aveva 2 e neanche 21 come Daniele, massacrato davanti agli occhi di suo padre. Ne aveva 31 e aveva già dimostrato la sua indole violenta appena arrivato in Italia. Un tribunale aveva già stabilito che non aveva diritto all’asilo politico e mentre era in attesa della sentenza sul ricorso ha potuto uccidere indisturbato.
Non possiamo fingere di non sapere che spesso chi richiede asilo politico non scappa da una guerra, da una persecuzione politica, ma da un paese nel quale già aveva commesso reati. Nel quale già preferiva vivere di stenti invece di costruire. Basti un solo grado di giudizio per i richiedenti asilo e siano trattenuti fino a che non arriva la risposta. Se è affermativa siano accolti con rispetto, se respinta siano immediatamente riaccompagnati nel loro paese.
Nel 2011 il membro della missione permanente dell’UNOG a Ginevra, Serge Boret Bokwango, ha criticato alcuni suoi connazionali mettendo per iscritto parole dure:
“gli Africani che mi capita di vedere in Italia mentre vendono di tutto e di più ..rappresentano l’Immondizia dell’Africa…non rappresentano in alcun caso gli Africani che vivono in Africa e si battono per la ricostruzione e lo sviluppo dei loro paesi. In merito a questo stato di cose mi chiedo perché l’Italia, gli altri paesi dell’Europa e gli Stati Arabi autorizzino e tollerino la presenza di questi individui sul proprio suolo nazionale. Forse per umiliare ancora una volta l’Africa o per mera distrazione? Provo un forte sentimento di onta e di rabbia nei confronti di questi Africani immigrati…e anche nei confronti dei Governi Africani che favoriscono le partenze di massa dei loro rifiuti verso l’Italia, l’Europa e l’Arabia”.
Noi invece dimentichiamo che integrazione significa unire due parti contrapposte di cui una delle due riceve l’altra che si deve adattare alla prima. Non il contrario. Integrazione non è sinonimo di imposizione.
Basta! La libertà è sacra, ma prima delle libertà viene la vita e lo Stato deve fare di tutto per evitare che le persone possano mantenere la possibilità di usare la libertà per distruggere quella altrui. Ieri un uomo al quale sei mesi fa un altro uomo aveva spaccato il naso lanciandogli un mattone mentre camminava su un marciapiede, lo ha visto in giro nella stessa zona. Aveva già strappato un orecchio a un passante con un morso. E’ libero. Cosa aspettiamo a fermarlo, che uccida? Qui sì allora che lo Stato sarebbe responsabile di una morte che spero non avvenga mai.
Basta!
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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