A fine novembre esce un’intervista che ti fa apparire magra perché sofferente, esausta a causa di un figlio impossibile, sfinita dai continui litigi con il marito, infelice per la separazione dei genitori. Insomma, Martina Colombari è sull’orlo di una crisi di nervi?
Assolutamente no! Non mi era mai capitato, in diciotto anni di interviste, di leggere un giornale e soffrire. Di vedere un’immagine che non mi corrisponde con giudizi sulla mia persona. Alla giornalista ho parlato della mia vita di donna normale, ma sembra che Martina Colombari non possa esserlo.
E invece?
E invece lo sono! Ho un lavoro gratificante, ma come tutti sono alle prese con i problemi della vita quotidiana. Ho un figlio di cinque anni che cerco di educare nel migliore dei modi e che come molti bambini della sua età è disobbediente – a meno che non si parli di un soprammobile -, ho un marito che amo ma con il quale capita di discutere anche per banalità, come quando mi arrabbio perché non porta fuori la spazzatura. Questo basta a rendere un anno orribile e una donna sofferente? La sofferenza è un’altra cosa! Sì, i miei genitori si sono separati e all’inizio è stato doloroso, ma doveva andare così e oggi riusciamo a stare tutti insieme appena il tempo lo concede. Un successo!
Quali sono le tonalità di colore presenti nella tua vita?
Sono quelle dell’arcobaleno! C’è una giostra di colori quando mio figlio mi viene incontro e mi bacia e c’è il grigio quando sto male perché il lavoro mi tiene lontana da lui. C’è il nero della sofferenza quando penso che i miei nonni sono anziani. Che la vita non è eterna. C’è il verde, il giallo, il rosa. C’è il colore della rabbia e del senso di sconfitta che sento ad Haiti, un paese dimenticato da Dio in cui mi reco ogni anno con la fondazione Francesca Rava.
Come ti senti quando torni da lì?
La prima volta è stato difficilissimo. Ho partecipato ai funerali di bambini che venivano messi in bare fatte di cartone. C’è una povertà assoluta. Uno schifo che nel mondo di oggi ci sia ancora un paese così! Poi ho pensato che la mia vita è qui e io non posso trasformarmi in Maria Teresa di Calcutta, posso solo accendere la luce su quella realtà e insegnare a mio figlio che ci sono persone molto sfortunate.
L’impegno con miss Italia, il fidanzamento con Alberto Tomba, due genitori molto protettivi. Non ti è mancata la spensieratezza e la “libertà” dell’adolescenza?
Chiamiamola pure “mattaggine”. Sì, mi è mancata, ma ho avuto modo di recuperare quando è finita la storia con Alberto e prima di incontrare Costacurta. Mi sono lasciata andare e ho scoperto un mondo in un certo senso negato. Per quanto riguarda i miei genitori devo dire che alla fine l’educazione un po’ severa mi ha aiutata nei momenti difficili di questo mestiere, bello ma anche futile o aggressivo. Anche la capacità di impegnarmi con disciplina, di studiare e la determinazione per raggiungere i miei obiettivi vengono da lì.
La fortuna non c’entra?
Sì. La fortuna nella vita conta, ma non basta, va anche mantenuta. E poi bisogna essere pronti per coglierla, se non lo sei ti può passare accanto anche cento volte, ma non riesci a vederla.
Tu e Billy vi siete lasciati per un periodo prima di sposarvi. Perché?
Eravamo giovani, avevamo bisogno di vivere le nostre vite, di fare altre esperienze. Se avessimo avuto dieci anni di piu’ magari quel momento non ci sarebbe stato.
Perché siete tornati insieme?
Io ho passato un periodo in cui avevo bisogno di guardarmi in giro, ma poi mi sono accorta che non ne valeva la pena, e lui è stato bravo! Mi ha “monitorata” a distanza senza mai perdermi di vista.
Come mantieni vivo il rapporto?
Con un po’ di attenzione verso di lui, non puoi farti vedere sempre sbragata perché sei stanca e non hai voglia di sistemarti, se lo fai e poi pensi “ tanto mi ama”, te lo vedi arrivare con un’altra!
Achille è l’eroe per eccellenza, un guerriero. Uno tosto! Tuo figlio fa onore a questo nome?
Non c’è un nome più indicato! È un bambino intelligente e dolce. Dà grandi soddisfazioni, ma a cinque anni si sente già grande, vuole decidere e comandare. Ha preso la parte più tosta mia e di mio marito, ma se in un adulto aiuta, in un bimbo così piccolo complica le cose. Da grande sarà un politico!
Essere mamma, vip o non vip, è una grande responsabilità. Ne senti mai il peso?
Sento molto la responsabilità di crescerlo nel modo più giusto, mi interrogo, sono attenta. Quando era piccolo mi spaventava tutto, avevo perfino paura di attraversare la strada con il passeggino. Avevo l’ansia da prestazione! Ma è così anche sul lavoro, quando devo interpretare un nuovo ruolo ho sempre paura di non riuscire.
Quest’ansia deriva anche dal fatto che sei bella e quindi devi sempre dimostrare di essere anche brava?È proprio una mia caratteristica personale. Il fatto di essere bella mi dava dei problemi in passato. Ho vissuto una fase in cui volevo dimostrare che ho un cervello e non sono solo una ciliegina sulla torta. Sul lavoro e nella vita la bellezza mi metteva in situazioni di disagio perchè l’atteggiamento delle persone ne era condizionato. Oggi me ne frego! Se qualcuno si limita a questo allora meglio non averlo vicino.
Ti ho conosciuta a Riccione prima che tu diventassi Miss Italia. Una bellezza disarmante, un sorriso innocente, uno sguardo che sembrava voler dire:“ voglio tutto quello che la vita mi vuole dare”. Quanto c’è oggi di quella Martina?
Io sono ancora quella ragazza! Una ragazza normale – scusa, una donna- che ha avuto molto ma ha anche lavorato sodo e oggi ha il sogno di diventare una brava attrice.Non rimpiangi nulla?
Non ho rimpianti, ma c’è una cosa che non mi perdono: non aver provato ad andare a lavorare all’estero, a Parigi, in America, e questo perché da brava romagnola sono troppo attaccata all’Italia, la mia terra.
Barbara Benedettelli