Luciano Moggi

Moggi

Luciano Moggi intervistato da Barbara Benedettelli per “Il Giornale”, 15 marzo 2010

 

Luciano Moggi un giorno è all’apice del successo per avere portato una squadra a vincere e stra-vincere, il giorno dopo viene catapultato in basso. Il sistema calcio diventa il «sistema Moggi» e lui, la sera in cui la Juve vince il 29° scudetto, dà l’addio a quel mondo con parole amare: «Non ho più l’anima, me l’hanno uccisa. Domani mi dimetterò da direttore generale della Juventus… Ora mi dedicherò a difendermi da tutte le cattiverie che sono state dette e fatte nei miei confronti». Era il 14 maggio del 2006. Quel giorno, sul pullman della squadra, Moggi ha pianto.
Tristezza per l’abbandono, o paura di quello che avrebbe affrontato?
«Ha paura chi fa le cose che non deve fare. Io ho condotto una squadra a vincere per dodici anni, questa è una cosa che non si deve fare? Eppure è proprio questo “il movente” che ha portato la casa madre, e gli avvoltoi che ne hanno approfittato, a colpirmi. Blanc, a Le Monde, ha dichiarato che il 31 dicembre del 2004 John Elkann gli avrebbe assicurato di portarlo alla Juve. Ma prima bisognava buttare fuori quelli che c’erano. Impresa ardua visto che quella dirigenza era riuscita a vincere tutto coniugando al meglio la gestione economica e sportiva. Come farci fuori allora? Sputtanandoci. Ci sono riusciti con la collaborazione di Telecom. L’obiettivo non ero io. Era Giraudo. Lui rappresentava l’uomo che ci ha assunti, Umberto Agnelli. Per questo lo volevano fuori».Il processo a Napoli è ancora aperto, come procede?
«I testi portati dall’accusa sono più favorevoli a noi che a loro. Quasi quasi si potrebbe non utilizzare i testi a favore. Adesso l’artefice di questa inchiesta, il Colonnello Auricchio, deve difendersi dagli avvocati della difesa. Penso che non si divertirà molto, “l’inquisitore”».E il processo di Torino?
«Lo hanno subito tutte le squadre. Era quello sul falso in bilancio e le plusvalenze. Nel resto d’Italia lo hanno archiviato subito, a Torino invece è andata alle lunghe perché la Juve ha fatto una querela contro ignoti per infedeltà patrimoniale e poi ha chiesto il patteggiamento. Forse si riteneva colpevole di avere degli impiegati infedeli».

Moggi, Bettega e Giraudo?
«Sì. E “infedeltà patrimoniale”, in parole povere, significa “ladri”. Però il Gup ci ha assolto e ha rigettato il patteggiamento perché il fatto non sussiste».

C’è stato un processo anche a Roma.
«Lì è caduta l’associazione a delinquere, ma in prima istanza mi hanno condannato a un anno e sei mesi per violenza privata. Infatti, a un giocatore che chiedeva uno stipendio più alto ho detto: “te lo darò quando mi dimostrerai di essere all’altezza della squadra”. Se la tutela di un’azienda è violenza la prossima volta a uno che chiede due milioni ne dò quattro e sono a posto».

Ma è vero che ha rinchiuso Paparesta nello spogliatoio?
«È una barzelletta, infatti è stata archiviata. Avevo fatto una battuta: “sarebbe da rinchiudere nello spogliatoio e buttare via le chiavi”. Zac, sequestro di persona».

Che effetto fa leggere le parole del proprio quotidiano, perdoni il gioco di parole, su un quotidiano?
«Nelle intercettazioni non c’è niente di penale, né gossip, quindi non mi fa né caldo, né freddo. Anzi, mi fa piacere, così è chiaro a tutti che non ho fatto niente. Sono frasi estrapolate dal contesto, riguardano discorsi che si fanno calcisticamente. Sono boutade dove uno si fa più grande di quello che è. Invece mi dispiace che siano stati usati i soldi dello Stato. Era meglio darli in beneficenza».

Su internet circola una docu-fiction con la registrazione del suo pianto durante un interrogatorio.
«Su questo argomento è intervenuto il garante della privacy. Queste cose per amore dell’audience non si fanno. Ci sarà una denuncia».

Ma quel pianto è suo, l’hanno davvero trattata male?
«No. È il pianto di un attore. Sa qual è il vero problema? Mi hanno sempre messo in mezzo a cose che non conoscevo neppure io».

Dalle stelle alle stalle. Fa male?
«Nella vita si può stare bene e si può stare male. Io non ero mai stato male prima, doveva accadere. In Italia si rendono forti le persone per poi abbatterle. A me è successo. Sul lavoro c’è un conflitto perenne, c’è invidia. Chi non ha le qualità odia chi le ha. Forse, a posteriori, sarebbe stato meglio vincere meno».

Che cosa l’ha sostenuta?
«La fede in Dio, vado spesso in Chiesa, soprattutto quando non c’è nessuno. In quel silenzio sento di essere dentro qualcosa di diverso, di grande».

Cosa non rifarebbe?
«Durante il primo interrogatorio il dottor Narducci, con tono trionfante, mi disse: “ma lo sa che per lei è finita?”, e io: “no, non lo so, me lo dica lei”. Oggi gli direi qualcosa di diverso».

Tornerà al calcio con un ruolo manageriale?
«No. Adesso scrivo sui giornali, faccio l’opinionista in tv, mi diverto a criticare chi mi criticava. È molto più facile. Critichi uno e se quello a un certo punto fa bene dici: “mi sono sbagliato”».

La vedo pensieroso…
«Sa qual è la cosa comica? Nel 2006 hanno cominciato col dire: “da oggi gli errori degli arbitri dovranno essere considerati fatti in buona fede”. Tutti d’accordo. Poi scoppia il finimondo. Ma il sistema calcio è così. Le faccio un esempio: c’è Fiorentina-Livorno, il Livorno subisce un torto e il Presidente dice: “deve andare via Collina”, e il presidente della Fiorentina, che aveva ricevuto un favore involontario: “l’arbitro non l’ha fatto apposta. Abbassiamo i toni”. Dopo quindici giorni c’è Fiorentina-Milan, Rosetti ne combina di tutti i colori a favore del Milan e il presidente del Fiorentina dice: “Rosetti mai più a Firenze, è complotto”. Da qui si evince com’è nato calciopoli. Dal 2006 a oggi ci sono stati errori in quantità industriale, il triplo rispetto ai dieci anni precedenti, guarda caso anche quest’anno Inter e Milan guidano la classifica dei rigori a favore».

E i suoi di errori?
«Tutti ne fanno, io ho fatto i miei, ma non ho mai fregato a nessuno. Pensi a Baldini. Ha detto che vendevo al Messina dei giocatori a prezzi altissimi e che il Messina di ritorno riceveva favori arbitrali. Invece io davo i giocatori del settore giovanile al Messina a prestito gratuito, e se me li valorizzava facendoli giocare gli davo anche un premio. In Lega ci sono i contratti che lo confermano. Baldini non ha detto la verità. Adesso dicono che lui dovrebbe andare alla Juve. Guarda un po’».

Nel 2006 l’Italia ha vinto i mondiali. Lo deve a calciopoli?
«Calciopoli ha avuto la sua parte perché gli atleti hanno bisogno di obiettivi, e l’obiettivo primario era quello di dimostrare a tutti il valore del calcio italiano. Ma lì abbiamo avuto, credo, una prova importante: quella Juve era una grande squadra che alla finale di Berlino aveva un allenatore, un preparatore fisico, un fisioterapista e nove giocatori tra Francia e Italia, guarda caso le due finaliste. Chi aveva bisogno dei favori degli arbitri non era la Juventus, erano gli altri!».

Barbara Benedettelli 

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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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