Ci sono reati che sono male in sé e non perché sono proibiti. E per chi li compie non deve esserci scappatoia.
Il film dell’orrore andato in scena a Milano ieri mattina si poteva evitare. Si poteva evitare in primis perché una persona che ha mostrato segni di violenza, al di là della sua origine, è un pericolo per la società e deve essere trattenuta, sempre.
Stiamo attenti però. Clandestino non significa diverso. Metterlo nella categoria dei diversi alimenta nei suoi confronti un senso di pietà e comprensione che possono in un certo senso giustificare atti di una gravità assoluta. Clandestino significa semplicemente fuori dalla legalità. Ed è la legalità che gli organi dello Stato sono tenuti ad osservare attenendosi alle leggi alla lettera e con poca discrezionalità quando si tratta di persone che hanno dimostrato una natura violenta, come Kabobo aveva più volte palesato già al suo arrivo in Italia.
Ma il problema non è solo la clandestinità. In Italia la violenza deve realizzarsi al 100% prima che si possa intervenire con misure restrittive capaci di impedirlo. Bisogna dunque intervenire su due piani: quello della clandestinità e quello che riguarda la pericolosità sociale di chi ha problemi psichici al di là della provenienza e che non si risolve con TSO o provvedimenti blandi che non salvano nessuno.
Kabobo, appena giunto in Italia, aveva chiesto asilo politico sapendo che in questo modo non poteva essere espulso. Sono molti i clandestini che lo fanno. Nel frattempo aveva commesso dei reati e aveva mostrato anche segni evidenti di avere un’indole violenta. Perché era libero?
Kabobo era socialmente pericoloso. Non doveva essere libero non in quanto “diverso” ma in quanto, appunto, pericoloso per gli altri. Basta con la compassione riversata sempre su chi alla fine se ne approfitta per fare ciò che vuole. Lasciare in giro questo fantasmi senza identità alla ricerca di qualcosa che difficilmente troveranno in un Paese che riesce a dare anche a chi è regolare poche possibilità, mette a rischio troppe esistenze. Troppe vite. Basta con la compassione riversata sempre su chi alla fine si sentirà, grazie a quella compassione, vittima di una società cattiva. Non è la società ad essere cattiva, sono i singoli. E vanno fermati.
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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