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“Vi vogliono far credere che fumare una canna è normale, che faticare a parlarsi è normale, che andare sempre oltre è normale. Qualcuno vuole soffocarvi.”
Non c’è voce più potente di questa. Non c’è verità più concreta di quella che viene dal cuore spezzato di una mamma che ha visto suo figlio morire suicida e che, con il cuore gonfio di dolore, dice ai tanti giovani presenti al funerale di suo figlio: “Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario”.
Una frase, quella di Antonella Riccardi, che deve squarciare la politica, la società e le menti di tutti coloro che vogliono convincerci che non possiamo essere felici cercando un momento di pace, di evasione dalle follie del mondo e lo straordinario dentro noi stessi, anziché nelle droghe leggere o pesanti che siano. Il 12 luglio del 2014, in California, dove le canne si trovano nei smoke shop, Connor Ekchardt, diciannove anni, ha fumato uno spinello e poi è andato a dormire. Da quel sonno non si è mai più svegliato. “È bastato un solo tiro e la nostra vita è cambiata per sempre”, ha detto suo padre davanti alla tomba del figlio in un video diventato virale.
Chi è per la legalizzazione la colpa della morte di Giò l’ha data alle Fiamme Gialle. A chi darà la colpa il giorno in cui, una volta legalizzate, un’altra giovane vita sarà strappata a se stessa per la stessa ragione? Perché non ascoltiamo il buonsenso dei padri e delle madri che lottano ogni giorno con le dipendenze dei loro figli e che, a volte, li vedono anche morire?
Politici, opinionisti, esperti, scrittori. Tutti parlano. Un ragazzino di sedici anni muore gettandosi dalla finestra e ognuno è pronto a usare quella morte per dire la sua sulla legalizzazione delle droghe “leggere”. C’è anche chi, forse non del tutto consapevole del suo ruolo sociale, di quanto la sua voce possa arrivare forte proprio a quelle anime fragili che si affacciano alla vita, afferma che legalizzare è una necessità che va fatta subito e bene. Come a dire che se questo adolescente è morto suicida la colpa è di uno Stato che punisce. Giò sarebbe morto allo stesso modo se non fosse stato scoperto? Questo non lo possiamo sapere.
Molto dipende dalle famiglie, da come guardiamo i nostri figli. Da quanto e come ci siamo. Ma non possiamo addossare tutto il peso del mondo solo sui genitori. Sono umani. Sbagliano. Questa madre nel suo discorso si assume tutte le sue responsabilità con una dignità straordinaria in un momento in cui sarebbe più facile incolpare il mondo.
Ma fuori chi si assume la responsabilità di queste morti? Chi si assume la responsabilità di un mondo che è globalmente malato? Come facciamo a proteggere i nostri figli anche da ciò che noi non possiamo vedere nonostante lo sguardo continuamente acceso nella loro profondità, nel loro disagio? E’ facile in un’età in cui ai genitori ci si deve ribellare per crescere trovare fuori riferimenti sbagliati. Allora la colpa non possiamo darla solo alle famiglie, a noi genitori, ma a un mondo, che come ha detto la mamma di Giò, non sa fare rete.
Tra le mille voci esperte o improvvisate, che urlano le loro istanze e tra le quali c’è anche chi specula su questa inaccettabile fine per dare ragione alle proprie cause, ce n’è una sola che dobbiamo ascoltare. Quella del buonsenso di una madre. La mamma di Giò. La sola che ha il diritto sacrosanto di parlare…
Barbara Benedettelli per Il Giornale, febbraio 2017
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
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