Baby gang e imputabilità

Baby gang

Baby gang e “branchi” di minori violenti: non possono essere lasciati impuniti. Sono gli uomini e le donne di domani. Sono minori, hanno tra i 12 e i 17 anni (a volte anche meno) i “baby terroristi urbani” che negli ultimi mesi sono balzati agli orrori delle cronache. Orrori sì, non onori, come quelli che poi credono di avere, dopo le aggressioni, vantandosi tra di loro e sui social della ferocia di cui sono stati capaci.

Per alcuni è un’iniziazione, un ingresso nel club della malavita, per altri un passatempo o un modus vivendi già acquisito nonostante la giovane età. Per tutti è espressione dell’ultra-violenza all’Arancia Meccanica, che esplode all’improvviso. Il movente è un mostruoso male per il male. Una mostruosità che, per dirla con Hannah Arendt, non ha bisogno di mostri. Né di adulti.

La cronaca quotidiana ci dimostra che anche a 10, 11, 12 anni gli esseri umani sono in grado di scegliere il male. Ed è qui il punto cardine su cui concentrarsi: la capacità di quelli che sono ancora bambini, di sceglierlo. Una scelta che secondo la giustizia minorile, prima dei 14 anni non si è in grado di compiere.

Non da soli, forse. Ma insieme sì, perché gli anni di uno si moltiplicano per il numero di componenti di queste “gang” micidiali, che sono come un gigante capace di massacrare un essere umano. Di portare la vittima scelta, spesso a caso, dentro un inferno di cui è obbligatorio tenere conto.

Se da una parte ci sono minorenni che devono giustamente essere recuperati, dall’altra ci sono spesso loro coetanei che subiscono traumi fisici e psichici non sempre reversibili e che meritano giustizia. Oppure persone fragili, come gli anziani, o disperate e sole, come i clochard, che vengono perfino uccisi. Vite. Vite umane.

Vite ferite o spezzate da minori deviati, figli di genitori spesso troppo distratti. Minori che agiscono con una ferocia a volte disumana, travestita da bravata, da scherzo, da cazzata infantile, che di infantile non ha niente. Ha conseguenze letali. E per questo non va mai giustificata né perdonata. E invece si perdona, dando così un calcio al valore sacro della vita.

Il minorenne (17 anni) che per “gioco” ha spinto due anziani giù da uno scoglio, uccidendone uno, non sconterà, per l’uccisione di una persona, neanche un giorno di carcere minorile. Se per tre anni andrà regolarmente a scuola, otterrà buoni voti, farà sport e volontariato, vedrà cancellata definitivamente la sua colpa.

Ma a 17 anni LO SAI che se spingi una persona dagli scogli questa persona può farsi male fino a morire. E allora, se è «peculiare interesse-dovere dello Stato il recupero del minore», deve esserlo peculiare dovere dello Stato anche la pretesa punitiva avanzata dalla società, della quale fanno parte tanti altri minori, ai quali si deve insegnare che chi sbaglia paga. Che esiste una responsabilità, anche penale, dalla quale nessuno deve essere immune.

Deve essere interesse e dove dello Stato affermare, con forza, il valore sine qua non della vita umana. Vita che un “prezzo”, in termini di libertà, lo deve avere.

I minori (che poi sono gli uomini e le donne di domani) devono sapere, già a 10 anni, che tra lo scherzo e il reato c’è un confine tutt’altro che sottile. Che chi fa del male agli altri commette un reato grave. Che chi commette un reato non va a casa con una pacca sulla spalla e un bel non farlo più, oppure u a misura che lo obbliga a fare ciò che fanno tutti gli adolescenti sani.

Ma subisce una punizione (commisurata all’eta, certo) che sia da monito per lui stesso e per gli altri. Che sia, per dirla con Beccaria, quel sensibile motivo che induce gli esseri umani a non commettere illeciti. La teoria del minimo intervento penale si deve fermare di fronte all’efferatezza di certi comportamenti.

Quanti dei componenti le gang che hanno agito a Napoli (ma anche a Milano, Torino, Roma, Bologna, Genova ecc.), per esempio, erano già conosciuti alle forze dell’ordine? Quanti avevano già avuto provvedimenti «minimi»? Quanti avevano alzato il tiro delle violenze deridendo le Forze dell’Ordine nella certezza di non poter essere puniti in quanto minori?

Davvero pensiamo di salvarli senza intervenire con sanzioni che li portino a non replicare? Senza intervenire con programmi educativi speciali che li portino a entrare nell’immensità del male che hanno fatto?

Oggi si accetta che a 12 anni una bambina possa portare avanti una gravidanza; a 16 anni (ma alcuni anche prima), escono la sera fino a tardi, fumano, bevono, usano droghe. Perché insieme al grado di autonomia non riconosciamo loro anche il grado di responsabilità che dall’autonomia deriva? Possiamo davvero lasciarli impuniti di fronte alla loro ferocia?

Barbara Benedettelli


I DATI

Le Baby gang sono vere organizzazioni criminali con un leader, ruoli, riti d’ingresso, strategie e simboli. Sono composte per lo più da latinos o da italiani che provengono dalla criminalità organizzata. Non sempre i “branchi” di minori violenti sono tecnicamente Baby gang. Alcuni di questi gruppi non sono organizzati, i minori che ne fanno parte hanno in comune un disagio e possono provenire da famiglie disastrate o, al contrario, benestanti e senza particolari problemi.

Secondo l’Osservatorio Nazionale Adolescenza, che ha condotto una ricerca su 8000 ragazzi, tra il 2016 e il 2017 il 24% di quelli tra i 14 e i 19 anni ha partecipato a risse; il 6% ha fatto knockout (pugni agli sconosciuti di passaggio); il 35% ha picchiato qualcuno; l’8% ha usato coltellino, tirapugni o manganello; il 5% ha distrutto vetrine, cassonetti, o lanciato oggetti durante una manifestazione. Gli atti vandalici hanno subito un’impennata dal 16% al 22%. Sono in aumento i minori tra gli 11 e i 13 anni: il 13% ha compiuto un atto vandalico; il 35% ha picchiato qualcuno; il 6,5% fa parte di una gang.

Si sentono protetti in quanto non imputabili fino al compimento del 14esimo anno; solo se si rileva una pericolosità sociale marcata li aspetta la comunità di recupero. Tra i 14 e i 18 anni sono invece imputabili, ma solo se viene accertata la capacità di intendere e volere (accertamento obbligatorio). Tuttavia in pochissimi casi il condannato va nel carcere minorile; si tende al recupero attraverso le misure alternative. 

Le Baby gang sono vere organizzazioni criminali con un leader, ruoli, riti d'ingresso, strategie e simboli. Sono composte per lo più da latinos o da italiani che provengono dalla criminalità organizzata. Non sempre i “branchi” di minori violenti sono tecnicamente Baby gang.
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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è sociologa, saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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