Ci sono reati che sono male in sé e non perché sono proibiti. E per chi li compie non deve esserci scappatoia.
Amnistia! Lo si grida più o meno ogni cinque anni. Si chiede l’ amnistia per giungere a un qualche provvedimento d’impunita’ minore e, alla fine, non risolvere niente. Infatti, statistiche alla mano, il problema carceri aumenta nel tempo. E ogni volta, da decenni, dopo provvedimenti di questo tipo (che si fanno sempre dicendo che a essi seguirà una riforma del sistema che non avviene mai) aumentano anche i reati contro la persona, primo tra tutti l’omicidio volontario, a seguire i furti e le rapine.
“Effetti collaterali” a danno dei cittadini che i diversi governi accettano. E intanto le persone muoiono ammazzate, anche dietro atroci torture, queste invece tollerate alla faccia delle Vittime e della gente perbene.
Questa volta l’amnistia ha una chance di passare perché l’Europa ci ha dato un ultimatum e un tempo limitatissimo. Pena multe salatissime che non ci possiamo permettere. Ed è più semplice cavarsela con un’amnistia, costi quel che costi, che con una vera riforma, possibile già da dopodomani con decreti d’urgenza.
Intanto la nenia del sovraffollamento carcerario come tortura ha il sapore di un palliativo per non affermare una verità in grado di rilevare la totale inefficienza del sistema giudiziario in primis.
Si generalizza, perché fa comodo, senza tenere conto che anche in questo settore ci sono le eccellenze, che dovrebbero essere prese a modello per una ristrutturazione definitiva. Invece si usano parole forti come “barbarie”, per definire qualcosa che è un’emergenza di cui è responsabile chi non ha necessità (né interesse) di fare diventare il carcere un luogo in cui si insegna il vivere civile per restituire alla società persone davvero rinnovate nel profondo.
Persone che, come vuole la “costituzione più bella del mondo”, in quel luogo dovrebbero esercitare (come accade per la scuola dell’obbligo, visto che si parla di rieducazione) il diritto/dovere di lavorare per tenere alta la dignità.
La barbarie, quella vera, la subiscono invece le migliaia di Vittime che ogni anno vengono colpite da reati che spesso non sono puniti con equità. Che spesso sono dovuti a quell’inefficienza del sistema penale e carcerario che nessuno vuole riformare. E da leggi inadeguate o troppo discrezionali, al punto che la Vittima di un pedofilo è costretta a vivere accanto al suo aguzzino. Che una ragazzina stuprata dal branco non riceve giustizia perché infondo la loro era solo una ragazzata. Che chi si è visto ammazzare un figlio da un irresponsabile al volante non vedrà mai l’omicida scontare la minima pena.
Niente pietà né rispetto per chi subisce l’abuso della libertà altrui. Da un lato c’è il dibattito giuridico, dall’altro l’opportunismo politico, dall’altro ancora l’incapacità di assumersi la responsabilità dell’agire. O di farla assumere a poteri che per riconquistare credibilità e forza dovrebbero sottostare, loro per primi, alla responsabilità civile.
Di fatto si parla sempre e solo dei rei, senza considerare che l’amnistia non coinvolge solo loro. Si guarda solo una parte della realtà escludendo la possibilità di un intervento libero da ipocrisie, realista e pragmatico.
Si “sventolano” articoli costituzionali come “bandiere” di partito senza prendere atto che se una persona infrange una legge di civiltà deve pagare un prezzo non negoziabile. E non ci s’interroga con responsabilità su come risolvere alla radice il problema, suddividendolo per esempio in settori sui quali lavorare con un pool composto dai rappresentanti di tutti gli attori in causa: vittime, rei, cittadini, operatori carcerari.
I governi cambiano con la velocità della luce e con i governi le norme, e ciò che resta non è il frutto di un’evoluzione, ma lo scempio di una devastazione. Giorno per giorno demoliamo l’ideale di giustizia che rappresenta il fondamento di una civiltà. La legge non è più legge senza ciò che la rende tale: una conseguenza, per chi la infrange, che supera il beneficio previsto e non può essere neanche considerata un rischio del “mestiere”.
Non possiamo negare che dopo l’indulto del 2006 (ed era “solo” un indulto) decine di persone sono state ammazzate da chi non aveva mai commesso un omicidio, ma uno di quei reati che chi ci governa considera, a torto, minori. Salvatore Buglione, Paolo Cordova, Luigia Polloni, Antonio Allegra, Barbara Dodi, Guido Pellicciardi e Lucia Comin sono solo alcuni dei troppi morti d’impunità.
Uno Stato che per risolvere un problema sceglie la via più semplice e veloce, ma più rischiosa per la società che è chiamato a tutelare, è paragonabile al mandante di una strage. Nessuno può affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che un’amnistia, per di più in un momento di tale debolezza delle Istituzioni e di grave crisi economica e sociale, non possa avere “effetti collaterali” incontrollabili.
Come affermò Bobbio, lo Stato “non può rinunciare al monopolio del potere coattivo senza cessare di essere uno Stato”. Quello per l’amnistia è un voto segreto, un voto di coscienza. Ebbene, ogni morto, ogni violenza fisica, ogni furto e ogni rapina che ne deriveranno, lì, in quella coscienza, devono fermarsi e pesare come macigni.
@bbenedettelli
Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.
Ci sono reati che sono male in sé e non perché sono proibiti. E per chi li compie non deve esserci scappatoia.
L’indulto fa morti. “Ci sia certezza che la pena corrisponda alla condanna e che la condanna corrisponda al reato, perché in questa
Trovo inaccettabile che una società arrivata al lockdown e al coprifuoco – misure tipiche delle guerre, che comprimono al limite della legittimità
“Chi ha il diritto di vivere”, Quem tiem direito ao viver”. Ce lo dice l’ex-terrorista Cesare Battisti. “Chi ha il diritto di