Alain Elkann

Alain Elkan
Intervista di Barbara Benedettelli ad Alain Elkan
“Il Giornale” 17 maggio 2010
"Mia madre sarebbe fiera dei nipoti in carriera"
di Barbara Benedettelli
Il padre di Lapo, Ginevra e John, racconta: “La famiglia è come un giardino da coltivare ogni giorno con cura”. E sull’Italia: “Pecca di nostalgia, deve guardare avanti”

«A un certo punto, pur rimanendo padre, i tuoi figli cominciano a dire: saluta il nonno, dai un bacino al nonno, vieni che al telefono c’è il nonno. Ed è proprio quando sono diventato nonno che ho pensato di scrivere questo libro, Nonna Carla, mia madre, che però negli ultimi anni della sua vita anche per me era, appunto, la nonna».


È così che mi ha risposto il giornalista, scrittore e saggista Alain Elkann quando gli ho chiesto del suo nuovo libro. Un testo in cui, attraverso la storia di sua madre, comunica ai lettori l’importanza del valore della famiglia, «un giardino da coltivare con cura, senza gesti spettacolari, ma con un’attenzione costante e quotidiana. Un luogo in cui, riconoscendo che la vita non è una passeggiata, si ha la volontà di stare vicini, di aiutarsi, di gioire dei risultati che ognuno raggiunge».

Alain Elkann, lei è il papà di Lapo, di Ginevra e di John, il nuovo presidente della Fiat. Una responsabilità enorme per un uomo così giovane. 
«Io credo che John sia l’uomo giusto nel posto giusto. Sono certo che lui abbia desiderato diventare ciò che è diventato fin da bambino. Giocava a pallonecon i suoi coetanei, andava con gli amici zaino in spalla, studiava al politecnico, ma allo stesso tempo si preparava intelligentemente al suo destino. Stava con i ragazzi della sua età, ma andava anche alla Fiat a imparare il suo futuro ruolo di responsabilità.

Lo ha definito welt man, uomo del mondo e non di mondo. Che cosa significa?
«È un uomo che nel mondo si è formato, John conosce l’Europa, il Sudamerica, gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone, l’India, Paesi in cui ha lavorato, in cuiha amici. È cosmopolita, ma ha le sue radici in Italia, a Torino. Tutto questo gli ha permesso di avere un grande bagaglio di esperienza. Ha l’età di un giovane proiettato verso il futuro ma ha già conosciuto anche molte cose del passato. Anche Lapo e Ginevra sono persone del mondo, come voleva il loro nonno Gianni e come ha voluto per me mio padre, ma tutti e tre mantengono un forte legame con questo Paese. Lapo si è perfino tatuato la bandiera italiana in un braccio, e se un giorno avrà una figlia vuole chiamarla Italia».

John alla presidenza Fiat, suo cugino Andrea Agnelli a quella della Juventus. Un cambio generazionale forte. 
«Sono la quinta generazione che ha ancora voglia di una continuità familiare, che si mette in gioco in prima persona. Umberto, il padre di Andrea, come suo fratello Gianni conosceva e amava il calcio. Lui è stato l’ultimo presidente della Juve di casa Agnelli ed è una bella cosa che suo figlio prosegua ciò che aveva cominciato».

Cosa pensa di calciopoli?
«A ognuno il suo mestiere, io non mi occupo di calcio ma di musei. Questo Paese pecca un po’ troppo di “nostalgia”. Nella vita bisogna guardare avanti».

Guardare avanti è importante per superare i momenti duri della vita. Non è facile però quando si è costretti a condividerli con il mondo, come è accaduto a Lapo qualche tempo fa. 
«Mio figlio Lapo, che è un uomo intelligente e sensibile come tutte le persone creative, ormai conosce bene la vita nei suoi alti e nei suoi bassi. Ha affrontato esperienze che non sono di tutti e lo ha fatto con umiltà, orgoglio, forza di volontà e coraggio. Oggi c’è molta gente che lo ammira, che gli vuole bene, che lo ascolta professionalmente perché ha talento. Tutto ciò che ha passato lo rende ancora più speciale».

Il sostegno della famiglia in questi casi è fondamentale.
«Sì. E questo è quello che voglio dire con il libro “Nonna Carla”. Una famiglia è interessante quando è variegata. I miei figli sono indipendenti, appassionati, con talenti propri. Lapo afferma la sua indipendenza chiamando addirittura Indipendent la sua azienda, ma mantiene una lealtà assoluta alle attività della famiglia. Mia figlia invece si occupa di musei, essendo vicepresidente della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, e coltiva la sua passione per il cinema producendo film. Ognuno è unico al di là dei ruoli. Penso che nonna Carla sarebbe stata orgogliosa dei suoi nipoti».

E anche di suo figlio. Lei ha scritto decine di libri e saggi, ha intervistato personaggi straordinari. Che cosa hanno in comune tre grandi uomini di religione come Elio Toaff, El Hassan bin Talal e il Cardinal Martini?
«Pur essendo di tre religioni diverse hanno idee della vita, dell’etica e della morale che sono simili. Sono persone di intelligenza superiore, di grande cultura, grande raffinatezza intellettuale, grande profondità spirituale, e allo stesso tempo sono capaci di esprimersi con semplicità».

Una parte della famiglia di sua madre è stata sterminata nella Shoah. Che cosa significa oggi essere ebreo?
«Io credo che oggi tutti gli ebrei siano anche un po’ israeliani. Da sessant’anni a questa parte, per la prima volta dopo duemila anni, gli ebrei hanno un loro paese, e la capitale è di nuovo Gerusalemme. Quando si attacca Israele e si dice che gli ebrei non c’entrano non è vero, perché si attacca il paese degli ebrei. È difficile vivere in un mondo dove si tollera il capo di un governo, come in Iran, che dice ogni due per quattro che bisogna distruggere Israele. Purtroppo ovunque c’è un forte pregiudizio antisemita che alcuni aggirano con il politically correct: non puoi essere contro gli ebrei allora sei contro Israele».

Cosa pensa della visita del Premier Berlusconi a Gerusalemme?
«Lui e molti altri ministri di questo governo sono amici incondizionati degli ebrei e di Israele. Berlusconi ne capisce l’importanza sia come simbolo, sia come realtà, sia come alleato».

Alcuni intellettuali ebrei criticano Israele.
«David Grossman, che lì ci vive e che ha perso un figlio durante l’ultimo conflitto con il Libano, ha il diritto di esprimere le sue idee. Altri intellettuali ebrei che non vivono in quel Paese, che non hanno figli che vanno a fare la guerra, o che rischiano di morire in un attentato suicida, lo hanno meno».

Lei ha la doppia cittadinanza, quella francese e quella italiana. Nel 2009 lei ha ricevuto la Légion d’honneur, la più alta onorificenza francese, fondata da Napoleone nel 1802 e conferita per decreto dal presidente Nicolas Sarkozy.
«L’aveva ricevuta mio nonno a titolo militare, e mio padre a titolo filantropico e industriale, poi io perché svolgo un ruolo di ponte culturale tra i due Paesi. Spero che un giorno lo ricevano anche i miei figli».

La tradizione contribuisce a tenere alto il valore della famiglia, per tornare all’inizio di questa intervista. Ma a parte i valori, lo sa che nel tempo lei è stato etichettato «ragazzo di buone famiglie»?
«I miei genitori sono persone che in generale si sono distinte nella vita per la loro generosità, solidarietà, filantropia, e nonostante abbiano subìto delle prove tremende a causa delle leggi razziali, hanno avuto il coraggio di saperle superare. Quindi di ottima famiglia direi!».

 
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Barbara Benedettelli

Barbara Benedettelli è saggista e giornalista pubblicista. Socio fondatore e Vicepresidente dell'Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, da anni è vicina ai familiari delle Vittime dei reati violenti. Attualmente è Assessore a Città di Parabiago (Mi) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura.

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